Ho trovato nella mia cartella sul computer il seguente testo, che penso di aver scritto a maggio scorso. L'avevo dimenticato completamente ed in effetti non è un granché, ma lo riporto.
Non ne parlavo mai con nessuno, solo accennavo distrattamente qualche volta, ma ho sempre avuto una segreta passione per le montagne. Dietro le colline basse, c’è sempre un secondo piano innevato che si mimetizza col cielo e le sue nuvole bianche illuminate dal sole e sembra perdersi nell’infinita distesa azzurra. Senza quelle vette, chissà dove finirebbe l’orizzonte: forse non esisterebbe. Qualche volta mi immaginavo lassù, a guardare tutto dall’alto, nascosto in mezzo alle rocce e lontano da tutti. La montagna era un desiderio di realizzazione e al contempo di evasione, di distacco. Mi capitava di parlare delle montagne e quando dicevo che mi sarebbe piaciuto raggiungerle, tutti dicevano che la vita è altro e che non si può. Io sorridevo e davo loro ragione, ma quando rimanevo da solo, mi ritrovavo ferito e mi convincevo di nuovo nei miei desideri e odiavo chi cercava di farli sparire. Restavo anche per molto tempo, seduto sul letto a ripetermi nella mente tutte le ragioni, quasi volessi convincere me stesso che non sbagliavo, e ne dubitassi. Ogni espressione e tono di voce mi tornava alla mente e cercavo di confutare qui fastidiosi discorsi, gridando con rabbia nel silenzio e chiedendomi come faccia la gente a pensarlo davvero e a vivere così. Forse ero soltanto io, e le montagne erano solo un orizzonte nella mia fantasia, però io vivevo di quello e la gente se ne accorgeva. Qualche volta mi fermavo a guardare attraverso la finestra quei paesaggi e tutti mi guardavano torvi e qualche volta mi dicevano di smetterla, perché non si può vivere in un mondo immaginario inseguendo strade immaginarie. Eppure ero convinto che quel mondo esistesse davvero e fosse anche più bello, ma non potevo certo mettermi a raccontarlo. Allora incontravo i miei amici, si parlava e si scherzava, bevendo una birra e raccontando le cose strane o belle che ci erano accadute. Altre volte invece, io pensavo alle montagne, e camminavo con un amico senza parlare troppo, guardando in basso e sospirando. Anche lui pensava a qualcosa e la presenza era in quei momenti più importante del dialogo, perché si poteva condividere tutto quel silenzio, carico di pensieri, di sogni, di delusioni. Quei momenti per me erano preziosi perché non contava più niente, e potevo immergermi senza fastidi nei miei pensieri. Anche se non raccontavo mai tutto perché mi sarebbe stato impossibile, queste persone sembrava che mi capissero, o per lo meno mi davano ragione. Sono sicuro che non era per farmi contento, anzi credo che anche loro sognassero le loro montagne; una tacita intesa mi rendeva più tranquillo e mi permetteva di riprendermi i sogni e di continuare a costruirli lentamente.
2 commenti:
Complimenti per come sei riuscito a descrivere il tuo pensiero interiore e le montagne
Grazie per l'apprezzamento, anonimo!
Gianluca
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