Osservando
il corso della storia e in esso “il male, la malvagità, il
tramonto degli imperi più floridi che lo spirito umano abbia
prodotto”, è inevitabile che l'uomo sia preso dallo sconforto e
precipiti “in uno smarrimento morale... fino alla più profonda,
sconsolata tristezza”. Che il male abbia colpito e sconfitto anche
ciò che di migliore era stato fatto è infatti immediatamente
incomprensibile ed appare frutto di un'insensata ingiustizia. Se così
è sempre andata, inoltre, sarà uno sforzo inutile impegnarsi per
migliorare le cose del mondo, e sarà bene, allora, distaccarsi da
esso. Si ricade così nell'egoismo, assumendo l'atteggiamento dello
spettatore distaccato nei confronti degli avvenimenti della storia,
godendo di una felicità negativa consistente nella gradita
consapevolezza di essere al sicuro.
Questa,
secondo Hegel, è la reazione che all'inevitabile sentimento di
tristezza di fronte a quel “banco da macellaio” che è la storia,
ha colui che non è in grado di rispondere alla domanda: “in vista
di quale fine” tutto ciò è accaduto? Ma incapace di dare un senso
al corso storico è colui che rimane irretito nella propria moralità
(Moralität)
e in base a questa giudica l'accaduto. Tuttavia la storia compie il
suo percorso – che è il percorso dello spirito come libertà che
si realizza nel mondo – nel superiore ambito dell'eticità
(Sittlichkeit).
Hegel
se la prende con le “anime belle” proprio perché esse sono ferme
allo stadio della moralità e da questo punto, senza alcuna efficacia
pratica, criticano il mondo, predicando il distacco da esso. Così,
del resto, fa anche la filosofia epicurea (alla quale implicitamente
rimanda l'immagine dello spettatore che contempla distaccato [cfr.
Lucrezio, De
rerum natura,
II]), che si estranea dallo stato e quindi dall'ambito dell'eticità.
Al
contrario, il vero filosofo è colui che alla domanda sul fine in
vista del quale tutti i mali sono accaduti sa dare una risposta
precisa e dunque sa assegnare un senso alla storia. Il filosofo
elabora un'ermeneutica del male, in grado di inserirlo in un ordine
superiore e quindi di neutralizzarlo. Anche le cose che moralmente
sono più spregevoli avvengono infatti in vista del compimento del
percorso dello spirito del/nel mondo; al fine, cioè, della
realizzazione della libertà. Il filosofo comprende allora che tutto
ciò che avviene, avviene razionalmente e che è la ragione-Dio a
guidare il mondo.
Hegel,
dunque, non predica quella forma di ascetismo egoistico propria dello
spettatore – come vorrebbe Blumenberg [cfr. Naufragio
con spettatore]
– bensì sostiene che si debba rimanere nel mondo. Tuttavia, non
sono gli individui singoli a fare la storia, ma gli individui
storici o, più in generale, i popoli (lo spirito del mondo infatti
cammina da oriente a occidente passando da un popolo all'altro),
coerentemente con la dissoluzione della singola individualità
atomistrica nella dimensione etica dello stato.
[Quanto letto è un commento a Hegel,
Lezioni sulla
filosofia della storia,
Laterza, Roma-Bari 2003, p. 20]
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