"(…) spesso cerchiamo la libertà
nella deliberazione volontaria che esamina a turno i motivi e sembra arrendersi
al più forte o al più convincente. In realtà, la deliberazione segue la
decisione, è la mia decisione segreta a far apparire i motivi, e la forza di un
motivo non sarebbe nemmeno concepibile senza una decisione che esso convalida o
avversa.
(…) Si cita spesso, come
argomento contro la libertà, l’impotenza della volontà. E infatti, se posso
volontariamente adottare una condotta e improvvisarmi guerriero o seduttore,
non dipende da me essere guerriero o seduttore con disinvoltura e
“naturalezza”, cioè esserlo veramente. Va però detto che non si deve ricercare
la libertà nell’atto volontario, il quale è, secondo il suo stesso senso, un
atto mancato. Noi ricorriamo all’atto volontario solo per andar contro la
nostra decisione vera e propria, quasi allo scopo di comprovare la nostra
impotenza. Se avessimo veramente assunto la condotta del guerriero o del
seduttore saremmo guerriero o seduttore. Anche quelli che vengono chiamati
ostacoli alla libertà sono in realtà dispiegati da essa.
(…) È ormai pacifico che la libertà
non si confonde con le decisioni astratte della volontà alle prese con motivi e
passioni: lo schema classico della deliberazione è applicabile solo a una
libertà in mala fede che nutre segretamente motivi antagonistici senza volerli
assumere e che fabbrica essa stessa le ipotetiche prove della sua impotenza.
Sotto questi contrasti fragorosi e sotto questi vani sforzi per “costruirci”,
si scorgono le decisioni tacite in virtù delle quali abbiamo articolato intorno
a noi il campo dei possibili, ed è vero che nulla è fatto finché conserviamo
queste fissazioni e che tutto è facile non appena abbiamo levato queste ancore.
Ecco perché la nostra libertà non deve essere ricercata nelle discussioni
insincere in cui si affrontano uno stile di vita che noi vogliamo rimettere in
questione e circostanze che ce ne suggeriscono un altro: la scelta vera e
propria è quella del nostro intero carattere e del nostro modo di essere al
mondo.
(…) Ma, anche qui, dobbiamo pur
riconoscere una specie di sedimentazione della nostra vita: quando è stato
confermato molte volte, un atteggiamento verso il mondo è per noi privilegiato.
Se la libertà non tollera di fronte a sé nessun motivo, il mio consueto essere
al mondo è egualmente fragile in ogni istante, i complessi che con la mia
condiscendenza ho alimentato per anni rimangono sempre ugualmente anodini, il
gesto della libertà può, senza sforzo, mandarli in frantumi nel giro di un istante.
Tuttavia, dopo aver costruito la nostra vita su un complesso di inferiorità
continuamente ripreso per vent’anni, è poco probabile
che noi cambiamo. (…) Ciò significa che io mi sono impegnato
nell’inferiorità, che vi ho eletto domicilio, che questo passato, se non è una
fatalità, ha per lo meno un peso specifico e che non è una somma di eventi
laggiù, molto lontano da me, ma l’atmosfera del mio presente. L’alternativa
razionalistica: o l’atto libero è possibile o non lo è, - o l’evento viene da
me, o è imposto dall’esterno, non è applicabile alle nostre relazioni con il
mondo e con il nostro passato. La nostra libertà non distrugge la nostra
situazione, ma si innesta su di essa: in quanto noi viviamo, la nostra
situazione è aperta; ciò implica che essa sollecita modi di soluzione
privilegiati e in pari tempo che, di per se stessa, non può procurarne nessuno.
(…) Cos’è dunque la libertà? Nascere, è nascere dal mondo e al tempo
stesso nascere al mondo. Il mondo è già costituito, ma non è mai completamente
costituito. Sotto il primo rapporto noi siamo sollecitati, sotto il secondo
siamo aperti a una infinità di possibili. Ma questa analisi è ancora astratta,
giacché noi esistiamo sotto i due rapporti contemporaneamente.
Pertanto, non c’è mai determinismo e non c’è mai scelta assoluta, io non sono
mai cosa e non sono mai coscienza nuda. In particolare, anche le nostre
iniziative, anche le situazioni che abbiamo scelto ci sostengono, una volta
assunte (…). La generalità del “ruolo” e della situazione viene in aiuto alla
decisione e, in questo scambio fra la situazione e colui che l’assume, è
impossibile delimitare “l’apporto della situazione” e “l’apporto della
libertà”. Si tortura un uomo per farlo parlare. Se egli rifiuta di dare i nomi
e gli indirizzi che gli si vuole strappare, non è per una decisione solitaria e
senza appoggi; egli continuava a sentirsi con i suoi compagni, e, ancora
impegnato nella lotta comune, era come incapace di parlare; oppure, da mesi o
da anni ha affrontato nel pensiero questa prova, e ha puntato tutta la propria
vita su di essa; o, infine, con il superarla vuole provare ciò che egli ha
sempre pensato e detto della libertà. Questi motivi non annullano la libertà,
ma per lo meno fanno sì che essa sia senza puntelli nell’essere. In definitiva,
non è una coscienza nuda che resiste al dolore, ma il prigioniero con i suoi
compagni o con coloro che ama e sotto lo sguardo dei quali egli vive, oppure la
coscienza con la sua solitudine orgogliosamente voluta, cioè ancora un modo del
Mit-sein. Ed è certo l’individuo,
nella sua prigione, che ogni giorno ridà vita a questi fantasmi, essi gli
restituiscono la forza che hanno ricevuto da lui, ma reciprocamente, se egli si
è impegnato in questa azione, se è legato con i suoi compagni o fedele a una
certa morale, è perché la situazione storica, i compagni, il mondo circostante
gli sembrano attendere da lui quella condotta. Si potrebbe così continuare
indefinitamente l’analisi. Noi scegliamo il nostro mondo e il mondo ci sceglie.
È comunque certo che non possiamo mai serbare in noi stessi un recesso in cui
l’essere non penetri, senza che immediatamente, per solo fatto che è vissuta,
questa libertà si configuri come essere e divenga motivo di appoggio.
Concretamente considerata, la libertà è sempre un incrocio dell’esteriore e
dell’interiore – anche la libertà preumana e la preistoria con la quale abbiamo
cominciato – e, senza mai annullarsi, essa si degrada a mano a mano che
diminuisce la tolleranza dei dati
corporei e istituzionali della nostra vita. Come dice Husserl, c’è un “campo
della libertà” e una “libertà condizionata”, non perché essa sia assoluta nei
limiti di questo campo e inesistente fuori di esso (…), ma perché io ho
possibilità prossime e possibilità remote. I nostri impegni sostengono la nostra
potenza e non c’è libertà senza qualche potenza. La nostra libertà, si dice, o
è totale o non esiste. Tale dilemma è quello del pensiero oggettivo e
dell’analisi riflessiva, sua complice. Se infatti noi ci collochiamo
nell’essere, le nostre azioni devono necessariamente venire dall’esterno,
mentre se ritorniamo alla coscienza costituente, esse devono venire
dall’interno. Ma noi abbiamo imparato a riconoscere l’ordine dei fenomeni.
Siamo mescolati al mondo e agli altri in una confusione inestricabile. L’idea
di situazione esclude la libertà assoluta all’origine dei nostri impegni, e del
resto la esclude anche al loro termine. Nessun impegno, nemmeno l’impegno nello
Stato hegeliano, può farmi superare tutte le differenze e rendermi libero per
tutto. Per il solo fatto che sarebbe vissuta, questa stessa universalità si
staccherebbe come una particolarità sullo sfondo del mondo; l’esistenza
generalizza e al tempo stesso particolarizza tutto ciò verso cui si protende,
essa non potrebbe essere integrale.
La sintesi dell’In sé e del Per
sé che corona la libertà hegeliana ha però la sua verità. In un certo senso,
tale sintesi è la definizione stessa dell’esistenza, e in ogni momento essa si
effettua sotto i nostri occhi nel fenomeno di presenza: semplicemente, essa è
subito da ricominciare e non sopprime la nostra finitezza. Assumendo un
presente, io riafferro e trasformo il mio passato, ne muto il senso, me ne
libero, me ne svincolo. Ma posso farlo solo impegnandomi altrove. (…) Lo stesso
vale per tutte le prese di coscienza: esse sono effettive solo se si fondano su
un nuovo impegno. Orbene, a sua volta questo nuovo impegno si forma
nell’implicito, non è quindi valido che per un ciclo di tempo. La scelta che
noi facciamo della nostra vita si effettua sempre sulla base di un certo dato.
La mia libertà può distogliere la mia vita dal suo senso spontaneo, ma solo in
virtù di una serie di slittamenti, anzitutto sposandolo, e non in virtù di una
qualche creazione assoluta. Tutte le spiegazioni della mia condotta basate sul
mio passato, il mio temperamento, il mio ambiente sono quindi vere, a
condizione che le si consideri non come apporti separabili, ma come momenti del
mio essere totale di cui mi è consentito esplicitare il senso in diverse
direzioni, senza che io possa mai dire se sono stato io a dare a esse il loro
senso o se lo ricevo da esse. Io sono una struttura psicologica e storica. Con
l’esistenza ho ricevuto un modo di esistere, uno stile. Tutte le mie azioni e i
miei pensieri, sono in rapporto con questa struttura, e anche il pensiero di un
filosofo è solo una maniera di esplicitare la sua presa sul mondo, ciò che egli
è. Eppure io sono libero, non malgrado o al di qua di queste motivazioni, ma
per mezzo loro. Infatti, questa vita significante, questa certa significazione
della natura e della storia che io sono, non limita il mio accesso al mondo, ma
viceversa è il mio mezzo per comunicare con esso. Essendo senza restrizioni o
riserve ciò che sono ora, io ho la possibilità di progredire; vivendo il mio
tempo, io posso comprendere gli altri tempi; immergendomi nel presente e nel
mondo, assumendo risolutamente ciò che sono per caso, volendo ciò che voglio,
facendo ciò che faccio, io posso andar oltre. Posso mancare la libertà solo se
cerco di superare la mia situazione naturale e sociale senza prima assumerla,
anziché unirmi, attraverso di essa, al mondo naturale e umano. Nulla mi
determina dall’esterno, non perché nulla mi solleciti, ma viceversa perché da
subito io sono fuori di me e aperto al mondo. Noi siamo da capo a fondo veri, abbiamo con noi – per il solo
fatto che ineriamo al mondo e non siamo semplicemente in esso, come cose –
tutto ciò che occorre per superarci. Non dobbiamo temere che le nostre scelte o
le nostre azioni limito la nostra libertà, poiché solamente la scelta e
l’azione ci sciolgono dalle nostre ancore. (…) la libertà si impiglia nelle
contraddizioni dell’impegno e non si accorge che essa non sarebbe libertà senza
le radici che affonda nel mondo. Farò questa promessa? Rischierò la vita per così
poco? Darò la mia libertà per salvare la libertà? Non c’è risposta teorica a
tali domande. Ma ci sono queste cose che
si presentano, irrecusabili, c’è questa persona amata di fronte a te, ci sono
questi uomini che esistono schiavi attorno a te, e la tua libertà non può volersi senza uscire dalla sua singolarità e
senza volere la libertà. Sia che si
tratti delle cose o delle situazioni storiche, la filosofia non ha altra
funzione che quella di reinsegnarci a vederle bene, ed è giusto dire che essa
si realizza distruggendosi come filosofia separata. Ma qui si deve tacere:
infatti, solo l’eroe vive sino in fondo la sua relazione con gli uomini e con
il mondo, ed è sconveniente che un altro parli in suo nome. “Tuo figlio è preso
nell’incendio? Lo salverai!... Venderesti la tua spalla, se è un ostacolo per
il lusso di una spallata! Dimori nel tuo stesso atto. Il tuo atto sei tu… Ti
cambi… Il tuo significato si rivela abbagliante. È il tuo dovere, è il tuo
odio, è il tuo amore, è la tua fedeltà, è la tua intenzione… L’uomo non è che
un nodo di relazioni, solamente le relazioni contano per l’uomo”. (A. de
Saint-Exupéry)".
M. Merleau-Ponty, Fenomenologia
della percezione, il Saggiatore, Milano 1965, pp. 557 ss.
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