mercoledì 16 settembre 2015

Merleau-Ponty sulla libertà



"(…) spesso cerchiamo la libertà nella deliberazione volontaria che esamina a turno i motivi e sembra arrendersi al più forte o al più convincente. In realtà, la deliberazione segue la decisione, è la mia decisione segreta a far apparire i motivi, e la forza di un motivo non sarebbe nemmeno concepibile senza una decisione che esso convalida o avversa.
(…) Si cita spesso, come argomento contro la libertà, l’impotenza della volontà. E infatti, se posso volontariamente adottare una condotta e improvvisarmi guerriero o seduttore, non dipende da me essere guerriero o seduttore con disinvoltura e “naturalezza”, cioè esserlo veramente. Va però detto che non si deve ricercare la libertà nell’atto volontario, il quale è, secondo il suo stesso senso, un atto mancato. Noi ricorriamo all’atto volontario solo per andar contro la nostra decisione vera e propria, quasi allo scopo di comprovare la nostra impotenza. Se avessimo veramente assunto la condotta del guerriero o del seduttore saremmo guerriero o seduttore. Anche quelli che vengono chiamati ostacoli alla libertà sono in realtà dispiegati da essa.
(…) È ormai pacifico che la libertà non si confonde con le decisioni astratte della volontà alle prese con motivi e passioni: lo schema classico della deliberazione è applicabile solo a una libertà in mala fede che nutre segretamente motivi antagonistici senza volerli assumere e che fabbrica essa stessa le ipotetiche prove della sua impotenza. Sotto questi contrasti fragorosi e sotto questi vani sforzi per “costruirci”, si scorgono le decisioni tacite in virtù delle quali abbiamo articolato intorno a noi il campo dei possibili, ed è vero che nulla è fatto finché conserviamo queste fissazioni e che tutto è facile non appena abbiamo levato queste ancore. Ecco perché la nostra libertà non deve essere ricercata nelle discussioni insincere in cui si affrontano uno stile di vita che noi vogliamo rimettere in questione e circostanze che ce ne suggeriscono un altro: la scelta vera e propria è quella del nostro intero carattere e del nostro modo di essere al mondo.
(…) Ma, anche qui, dobbiamo pur riconoscere una specie di sedimentazione della nostra vita: quando è stato confermato molte volte, un atteggiamento verso il mondo è per noi privilegiato. Se la libertà non tollera di fronte a sé nessun motivo, il mio consueto essere al mondo è egualmente fragile in ogni istante, i complessi che con la mia condiscendenza ho alimentato per anni rimangono sempre ugualmente anodini, il gesto della libertà può, senza sforzo, mandarli in frantumi nel giro di un istante. Tuttavia, dopo aver costruito la nostra vita su un complesso di inferiorità continuamente ripreso per vent’anni, è poco probabile che noi cambiamo. (…) Ciò significa che io mi sono impegnato nell’inferiorità, che vi ho eletto domicilio, che questo passato, se non è una fatalità, ha per lo meno un peso specifico e che non è una somma di eventi laggiù, molto lontano da me, ma l’atmosfera del mio presente. L’alternativa razionalistica: o l’atto libero è possibile o non lo è, - o l’evento viene da me, o è imposto dall’esterno, non è applicabile alle nostre relazioni con il mondo e con il nostro passato. La nostra libertà non distrugge la nostra situazione, ma si innesta su di essa: in quanto noi viviamo, la nostra situazione è aperta; ciò implica che essa sollecita modi di soluzione privilegiati e in pari tempo che, di per se stessa, non può procurarne nessuno.
(…) Cos’è dunque la libertà? Nascere, è nascere dal mondo e al tempo stesso nascere al mondo. Il mondo è già costituito, ma non è mai completamente costituito. Sotto il primo rapporto noi siamo sollecitati, sotto il secondo siamo aperti a una infinità di possibili. Ma questa analisi è ancora astratta, giacché noi esistiamo sotto i due rapporti contemporaneamente. Pertanto, non c’è mai determinismo e non c’è mai scelta assoluta, io non sono mai cosa e non sono mai coscienza nuda. In particolare, anche le nostre iniziative, anche le situazioni che abbiamo scelto ci sostengono, una volta assunte (…). La generalità del “ruolo” e della situazione viene in aiuto alla decisione e, in questo scambio fra la situazione e colui che l’assume, è impossibile delimitare “l’apporto della situazione” e “l’apporto della libertà”. Si tortura un uomo per farlo parlare. Se egli rifiuta di dare i nomi e gli indirizzi che gli si vuole strappare, non è per una decisione solitaria e senza appoggi; egli continuava a sentirsi con i suoi compagni, e, ancora impegnato nella lotta comune, era come incapace di parlare; oppure, da mesi o da anni ha affrontato nel pensiero questa prova, e ha puntato tutta la propria vita su di essa; o, infine, con il superarla vuole provare ciò che egli ha sempre pensato e detto della libertà. Questi motivi non annullano la libertà, ma per lo meno fanno sì che essa sia senza puntelli nell’essere. In definitiva, non è una coscienza nuda che resiste al dolore, ma il prigioniero con i suoi compagni o con coloro che ama e sotto lo sguardo dei quali egli vive, oppure la coscienza con la sua solitudine orgogliosamente voluta, cioè ancora un modo del Mit-sein. Ed è certo l’individuo, nella sua prigione, che ogni giorno ridà vita a questi fantasmi, essi gli restituiscono la forza che hanno ricevuto da lui, ma reciprocamente, se egli si è impegnato in questa azione, se è legato con i suoi compagni o fedele a una certa morale, è perché la situazione storica, i compagni, il mondo circostante gli sembrano attendere da lui quella condotta. Si potrebbe così continuare indefinitamente l’analisi. Noi scegliamo il nostro mondo e il mondo ci sceglie. È comunque certo che non possiamo mai serbare in noi stessi un recesso in cui l’essere non penetri, senza che immediatamente, per solo fatto che è vissuta, questa libertà si configuri come essere e divenga motivo di appoggio. Concretamente considerata, la libertà è sempre un incrocio dell’esteriore e dell’interiore – anche la libertà preumana e la preistoria con la quale abbiamo cominciato – e, senza mai annullarsi, essa si degrada a mano a mano che diminuisce la tolleranza dei dati corporei e istituzionali della nostra vita. Come dice Husserl, c’è un “campo della libertà” e una “libertà condizionata”, non perché essa sia assoluta nei limiti di questo campo e inesistente fuori di esso (…), ma perché io ho possibilità prossime e possibilità remote. I nostri impegni sostengono la nostra potenza e non c’è libertà senza qualche potenza. La nostra libertà, si dice, o è totale o non esiste. Tale dilemma è quello del pensiero oggettivo e dell’analisi riflessiva, sua complice. Se infatti noi ci collochiamo nell’essere, le nostre azioni devono necessariamente venire dall’esterno, mentre se ritorniamo alla coscienza costituente, esse devono venire dall’interno. Ma noi abbiamo imparato a riconoscere l’ordine dei fenomeni. Siamo mescolati al mondo e agli altri in una confusione inestricabile. L’idea di situazione esclude la libertà assoluta all’origine dei nostri impegni, e del resto la esclude anche al loro termine. Nessun impegno, nemmeno l’impegno nello Stato hegeliano, può farmi superare tutte le differenze e rendermi libero per tutto. Per il solo fatto che sarebbe vissuta, questa stessa universalità si staccherebbe come una particolarità sullo sfondo del mondo; l’esistenza generalizza e al tempo stesso particolarizza tutto ciò verso cui si protende, essa non potrebbe essere integrale.
La sintesi dell’In sé e del Per sé che corona la libertà hegeliana ha però la sua verità. In un certo senso, tale sintesi è la definizione stessa dell’esistenza, e in ogni momento essa si effettua sotto i nostri occhi nel fenomeno di presenza: semplicemente, essa è subito da ricominciare e non sopprime la nostra finitezza. Assumendo un presente, io riafferro e trasformo il mio passato, ne muto il senso, me ne libero, me ne svincolo. Ma posso farlo solo impegnandomi altrove. (…) Lo stesso vale per tutte le prese di coscienza: esse sono effettive solo se si fondano su un nuovo impegno. Orbene, a sua volta questo nuovo impegno si forma nell’implicito, non è quindi valido che per un ciclo di tempo. La scelta che noi facciamo della nostra vita si effettua sempre sulla base di un certo dato. La mia libertà può distogliere la mia vita dal suo senso spontaneo, ma solo in virtù di una serie di slittamenti, anzitutto sposandolo, e non in virtù di una qualche creazione assoluta. Tutte le spiegazioni della mia condotta basate sul mio passato, il mio temperamento, il mio ambiente sono quindi vere, a condizione che le si consideri non come apporti separabili, ma come momenti del mio essere totale di cui mi è consentito esplicitare il senso in diverse direzioni, senza che io possa mai dire se sono stato io a dare a esse il loro senso o se lo ricevo da esse. Io sono una struttura psicologica e storica. Con l’esistenza ho ricevuto un modo di esistere, uno stile. Tutte le mie azioni e i miei pensieri, sono in rapporto con questa struttura, e anche il pensiero di un filosofo è solo una maniera di esplicitare la sua presa sul mondo, ciò che egli è. Eppure io sono libero, non malgrado o al di qua di queste motivazioni, ma per mezzo loro. Infatti, questa vita significante, questa certa significazione della natura e della storia che io sono, non limita il mio accesso al mondo, ma viceversa è il mio mezzo per comunicare con esso. Essendo senza restrizioni o riserve ciò che sono ora, io ho la possibilità di progredire; vivendo il mio tempo, io posso comprendere gli altri tempi; immergendomi nel presente e nel mondo, assumendo risolutamente ciò che sono per caso, volendo ciò che voglio, facendo ciò che faccio, io posso andar oltre. Posso mancare la libertà solo se cerco di superare la mia situazione naturale e sociale senza prima assumerla, anziché unirmi, attraverso di essa, al mondo naturale e umano. Nulla mi determina dall’esterno, non perché nulla mi solleciti, ma viceversa perché da subito io sono fuori di me e aperto al mondo. Noi siamo da capo a fondo veri, abbiamo con noi – per il solo fatto che ineriamo al mondo e non siamo semplicemente in esso, come cose – tutto ciò che occorre per superarci. Non dobbiamo temere che le nostre scelte o le nostre azioni limito la nostra libertà, poiché solamente la scelta e l’azione ci sciolgono dalle nostre ancore. (…) la libertà si impiglia nelle contraddizioni dell’impegno e non si accorge che essa non sarebbe libertà senza le radici che affonda nel mondo. Farò questa promessa? Rischierò la vita per così poco? Darò la mia libertà per salvare la libertà? Non c’è risposta teorica a tali domande. Ma ci sono queste cose che si presentano, irrecusabili, c’è questa persona amata di fronte a te, ci sono questi uomini che esistono schiavi attorno a te, e la tua libertà non può volersi senza uscire dalla sua singolarità e senza volere la libertà. Sia che si tratti delle cose o delle situazioni storiche, la filosofia non ha altra funzione che quella di reinsegnarci a vederle bene, ed è giusto dire che essa si realizza distruggendosi come filosofia separata. Ma qui si deve tacere: infatti, solo l’eroe vive sino in fondo la sua relazione con gli uomini e con il mondo, ed è sconveniente che un altro parli in suo nome. “Tuo figlio è preso nell’incendio? Lo salverai!... Venderesti la tua spalla, se è un ostacolo per il lusso di una spallata! Dimori nel tuo stesso atto. Il tuo atto sei tu… Ti cambi… Il tuo significato si rivela abbagliante. È il tuo dovere, è il tuo odio, è il tuo amore, è la tua fedeltà, è la tua intenzione… L’uomo non è che un nodo di relazioni, solamente le relazioni contano per l’uomo”. (A. de Saint-Exupéry)".

M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, il Saggiatore, Milano 1965, pp. 557 ss.

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