domenica 3 maggio 2009


Il suono veloce

La proposta futurista in campo musicale nasce dalla constatazione che la musica italiana (siamo nel 1910) era ridotta «ad una forma unica e quasi invariabile di melodramma volgare, da cui risulta l’assoluta inferiorità nostra di fronte all’evoluzione futurista della musica negli altri paesi». Sono parole del compositore Francesco Balilla Pratella (Manifesto dei musicisti futuristi), il quale utilizza l’aggettivo “futurista” con un’accezione decisamente ampia, estesa ben oltre il circolo marinettiano. Cita infatti quali musicisti futuristi tutti quei compositori che, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, hanno rivoluzionato la composizione musicale: Richard Strauss con le sue armonie “dilatate”, imparentate in un certo senso con Wagner e Mahler, Claude Debussy e le sue armonie innovative, dettate dal puro gusto eufonico e dalla volontà di esprimere precisi sentimenti collegati a immagini e ancora Elgar, Musorgskij, Sibelius, Glazunov… Tuttavia, la musica del futurismo vero e proprio, avrebbe dovuto spingersi ancora più in là (le scale per toni interi di Debussy erano un «sistema nuovo, ma pur sempre sistema»). E’ strano che Pratella non citi la scuola viennese di Schönberg, che nella sperimentazione aveva fatto passi da gigante, ma è possibile che non la conoscesse. Ecco cosa si propone il musicista futurista: la «libertà assoluta» nella sperimentazione; la «sintesi», ossia la concentrazione di sensazioni e avvenimenti in un ristretto ambito spazio-temporale; l’utilizzo dell’enarmonia (sperimentata da Silvio Mix e da Luigi Russolo), cioè l’utilizzo di intervalli inferiori al semitono, ed, infine, la poliritmia. Va detto che l’enarmonia era già stata sperimentata molte volte nella storia musicale: è chiaro che per i secoli antecedenti alla teorizzazione del buon temperamento di Andreas Werckmeister (1691) fosse prassi comune, ma venne riproposto già nel Rinascimento, per esempio dal Vicentino, nel suo trattato L’antica musica ridotta alla moderna pratica, il quale si fece anche costruire degli strumenti dimostrativi (l’arcicembalo e l’arciorgano) con tasti differenziati per diesis e bemolli (per capirci, il do diesis e il re bemolle erano intonati diversamente). Anche nella seconda metà dell’Ottocento vengono sperimentate da numerosi compositori minori le possibilità dell’enarmonia e tra Otto e Novecento sono investigate da Ives e Busoni, ancora prima dunque delle pretese di originalità avanzate dal futurismo.Nel 1912 Pratella pubblica La distruzione della quadratura, in cui auspica l’adozione del «ritmo libero, senza simmetria, come nei versi liberi di Paolo Buzzi». Ma Pratella aderisce al futurismo un po’ per comodo, senza essere in realtà esattamente convinto di tutte le idee che Martinetti tentava di inculcare nella mente dei suoi seguaci, anche compositori di musica. Riccardo Baccelli scrisse a Pratella nel 1911, dopo aver letto, probabilmente, il Manifesto dei musicisti: «Io le ho già detto che sono d’accordo, e si capisce, ma non capisco la parola “futurismo”. Non credo che lei l’abbia capita come Martinetti, per il quale vuol dire apoteosi delle macchine ecc. ecc. Per lei dev’essere, credo, l’espressione lirica della liberazione dall’insegnamento senza fosforo e senza sangue dell’arte ufficiale e gazzettistica, è vero? E allora basta una vecchia parola, sincerità. E poi temo che le forme (non sue; del Martinetti) creino un’accademia più stretta della vecchia».Marinetti parve un po’ il “dittatore artistico” del movimento da lui fondato, e molti aderirono forse unicamente per farsi conoscere dal pubblico, dato che quella era la maggiore avanguardia (in Italia) e non parteciparvi avrebbe significato essere escluso dalla vita culturale del paese. Molti compositori presero parte a serate futuriste ed ebbero applicata, più o meno sovente, quell’etichetta, pur non aderendo esplicitamente al movimento (per esempio, Casella, Malipiero, Respighi o addirittura Bartok). Tuttavia ci furono, tra i compositori, anche marinettisti convinti: Silvio Mix e Luigi Russolo, per indicare i più importanti. Luigi Russolo è l’inventore degli intonarumori e teorico della musica rumorista. Lo stesso Pratella utilizzò in alcune composizioni questi nuovi strumenti, per esempio nel brano che rappresenta il volo e la caduta del protagonista in L’aviatore Dro, in cui si nota la contrapposizione tra «un gruppo di intonarumori» e «la massa formata dagli altri strumenti musicali. Scoppiatori e Ronzatori con parte scritta con chiarezza e precisione sia per la durata e sia per le altezze e varietà d’intonazione relative a ciascun intonarumore. (…) Il loro timbro non si unisce agli altri elementi sonori come materia eterogenea, ma vi si unisce come un nuovo elemento sonoro, emotivo ed essenzialmente musicale» (così Pratella presentava sulla rivista Lacerba la sua composizione al pubblico). Gli intonarumori coprivano un intervallo di circa una decima e avevano alcune tacche sulla parte superiore che indicavano, in linea di massima, l’intonazione dello strumento. Essi passavano da un tono all’altro glissando. Il primo di questi strumenti, costruito da Luigi Russolo e Ugo Piatti venne presentato al Teatro Storchi di Modena il 2 giugno 1913 per poi giungere a Genova e a Londra. Luigi Russolo pubblicò nel 1913 il manifesto L’arte dei rumori, scritto in forma di lettera indirizzata a Pratella. «La vita antica fu tutta silenzio. Nel diciannovesimo secolo, coll’invenzione delle macchine, nacque il rumore. Oggi, il Rumore trionfa e domina sovrano sulla sensibilità degli uomini». Per Russolo «il suono musicale è anche troppo limitato nella varietà qualitativa dei timbri. Le più complicate orchestre si riducono a quattro o cinque classi di strumenti, differenti nel timbro del suono: strumenti ad arco, a pizzico, a fiato in metallo, a fiato in legno, a percussione. Cosicché la musica moderna si dibatte in questo piccolo cerchio, sforzandosi vanamente di creare nuove varietà di timbri. Bisogna rompere questo cerchio ristretto di suoni puri e conquistare la varietà dei “suoni-rumori”». E si spinge, da buon futurista, a “rinnegare” il passato affermando che «Beethoven e Wagner ci hanno squassato i nervi e il cuore per molti anni. Ora ne siamo sazi e godiamo molto più nel combinare idealmente i rumori di tram, di motori a scoppio, di carrozze e di folle vocianti, che nel riudire, per esempio, l’”Eroica” e o la “Pastorale”». Russolo definisce i luoghi da concerto tradizionali – riporto questa frase anche se non così importante, perché bellissima - «ospedali di suoni anemici» in cui «si opera una miscela ripugnante formata dalla monotonia delle sensazioni e dalla cretinesca commozione religiosa degli ascoltatori buddisticamente ebbri di ripetere per la millesima volta la loro estasi più o meno snobistica ed imparata». Questi intonarumori si differenziarono poi in: ronzatori, ululatori, rombatori, crepitatori, stropicciatori, scoppiatori, gorgogliatori e sibilatori e ciascuno di questi poteva avere un’ estensione nel registro grave, medio o acuto. A Milano, a casa di Martinetti, vennero presentati questi strumenti alla presenza di Stravinskij, Profof’ev e del coreografo Diaghilev. E’ noto a tutti, tuttavia, che gli intonarumori ebbero breve vita, né i grandi russi sopracitati li utilizzarono mai, anche se Prokof’ev, in un suo articolo apparso sulla rivista “Muzyka”, parla diffusamente e con tono favorevole degli intonarumori di Russolo. Diaghilev collaborò con artisti futuristi alla realizzazione di alcuni balletti, in particolare con Fortunato Depero e Giacomo Balla (con quest’ultimo realizzò Feu d’artifice con scenografia plastica e musica di Stravinskij). Depero, invece, che avrebbe dovuto realizzare con Diaghilev Le chant du rossignol (sempre di Stravinskij), finì per abbandonare il progetto per dedicarsi ai suoi “balli plastici”, in cui al posto di ballerini e ballerine venivano usate marionette, e si trovò così a collaborare con Casella, Malipiero e Chemenon (pseudonimo quasi certamente di Bela Bartok). I balli plastici non ebbero però un grande successo. Sempre in ambito teatrale, i futuristi crearono il Teatro della Pantomima futurista con Enrico Prampolini e musicisti come Respighi e, di nuovo, Casella. In questo contesto venne anche rappresentata La salamandra di Luigi Pirandello.Lo scarso successo della musica rumorista dei futuristi è dovuto probabilmente al fatto che la pretesa di inserire nella musica imitazioni di rumori provenienti dalla realtà industriale cittadina, non poteva avere grande successo per la natura stessa della musica che, se si riduce a pura imitazione di macchine e rumori, risulta priva di significato. Kandinskij scrisse (ne Lo spirituale nell’arte, uscito proprio in quegli anni) che «la natura ha il suo linguaggio, che ci raggiunge con forza irresistibile. E’ un linguaggio inimitabile. Voler rappresentare musicalmente un pollaio, per ricrearne l’atmosfera e farla vivere all’ascoltatore è un compito impossibile e inutile. Ogni arte può creare questa atmosfera, non imitandola naturalmente, ma riproducendone il valore interiore». Vero è che Russolo scrisse esplicitamente che l’Arte dei rumori non si sarebbe limitata ad una riproduzione imitativa, ma avrebbe attinto la sua «facoltà di emozione nel godimento acustico in sé stesso» e i ritmi e timbri vari sarebbero stati fantasticamente associati, per ottenere «le più complesse e nuove emozioni sonore», tuttavia, è chiaro che per quanto si combinino fantasiosamente i rumori, pur sempre tali restano. Ed è proprio da questo punto che Giovanni Papini parte per attaccare il futurismo dei marinettisti, dando vita alla polemica tra questi ultimi e il gruppo di artisti fiorentini (tra i quali Palazzeschi). Così egli scrisse nel 1914: «L’arte (…) torna natura greggia. (…) Ma se il metodo prendesse piede e si spingesse all’ultime conseguenze più rigorose ne verrebbe che il miglior quadro di natura morta è una camera ammobiliata, il miglior concerto l’insieme dei rumori d’una città popolosa; la miglior poesia lo spettacolo d’una battaglia colla sua cinematografia sonora; la più profonda filosofia quella del contadino che vanga o del fabbro che martella senza pensare a nulla. (…) L’amore giustissimo per la novità non ci deve acciecare». Boccioni replica insistendo sulle posizioni futuriste: «le nuove condizioni di vita in cui viviamo ci hanno creato un’infinità di elementi naturali completamente nuovi, e perciò mai entrati nel dominio dell’arte, e per i quali i futuristi si prefiggono di scoprire nuovi mezzi di espressione, ad ogni costo». La polemica rimane dunque aperta e nel 1915 viene chiarita in Lacerba la distinzione tra “futurismo” e “marinettismo”.Le sperimentazioni musicali continuano: Russolo nel 1925 brevetta l’ arco enarmonico e nel ‘27 il rumorarmonio (che soppianterà gli intonarumori, strumenti scomparsi non si sa come, probabilmente distrutti dalla guerra).Un altro importante compositore futurista, che entrò nel movimento ancora giovanissimo, è Silvio Mix, il quale godette peraltro di un discreto successo in vita. Nella sua musica, spesso, in omaggio a Stravinskij, «l’elemento tematico risulta piuttosto generico, mentre viene esaltato quello ritmico, ossessivo e contrappuntato da zone di maggiore abbandono». Un elemento del pensiero artistico futurista, ossia la sinestesia tra le arti, appare manifestamente sulla partitura del Profilo sintetico-musicale di Marinetti, dove Mix annuncia delle pubblicazioni future, forse in realtà mai realizzate, ma che mostrano questo intento, realizzato soprattutto nel campo teatrale. I titoli sono i seguenti:a) Potenza espansiva delle forze plastiche d’un paese (Commento musicale di un quadro di Antonio Marasco);b) Preludio e Finale per «Bianca e Rosso», sintesi di Filippo Tommaso Martinetti;c) Ritmi spaziali meccanizzati (Realizzazione musicale […] del quadro di Enrico Prampolini).Mix fu attivo, oltre che come compositore, come critico musicale per diverse riviste italiane. Recensì anche un concerto di Prokof’ev, ma risulta evidente che ne conosceva poco la musica. Così come molte “innovazioni” futuriste erano già state sperimentate fuori dall’Italia, così Prokof’ev, «in quanto a irruenza espressiva e poliritmia avrebbe potuto essere un valido “consigliere” per i musicisti futuristi: numerose sono le opere composte a quella data dal musicista russo che, con i loro continui, bruschi, laceranti scarti ritmici sono la testimonianza del fatto che la tanto agognata “distruzione della quadratura” era ormai un fatto compiuto». E’ interessante notare come alcuni elementi caratterizzanti l’arte musicale futurista vennero sperimentati, grosso modo negli stessi anni, da compositori che col futurismo non ebbero il minimo contatto. E’ un esempio la Sinfonia delle forze meccaniche di Carol-Bérard, scritta nel 1910 e perduta, nella quale i rumori erano resi in forma musicale e compariva anche una notazione per i rumori, come avverrà con l’arte di Russolo. Altri esempi sono il Ballet Méchanique (1925) di Gorge Antheil che imita il motore di un aeroplano e il celebre Pacific 231 di Honegger (1923), che descrive, secondo ciò il compositore stesso scrisse, i movimenti dal riposo al viaggio a 120 chilometri orari di un treno di trecento tonnellate lanciato nella notte.In conclusione, si può affermare che i compositori di musica futurista non furono grandissimi innovatori e forse i lavori più importanti sono quelli realizzati per il teatro, anche se la musica non era quasi mai di compositori aderenti al movimento. Va però riconosciuto che per alcuni aspetti influenzarono la musica del futuro, a partire dalla musica concreta, fino alle sperimentazioni di Varèse e di Cage, che in qualche modo furono da essi anticipate. Per esempio le Cinque sintesi per il teatro radiofonico di Martinetti prevedono o minuti di pausa (come sarà 4’33’’ di Cage) o un collage di rumori (come sarà, dello stesso, Radio Music). Inoltre, nel manifesto L’improvvisazione musicale, firmato da Aldo Mantia e Mario Barroccini, proposero l’evento artistico come divenire e sintetizzarono le basi della loro improvvisazione in tre punti, che sono vicini a sperimentazioni successive (anche nel campo del jazz e della musica leggera):1) esecuzioni sul pianoforte o altri strumenti;2) commenti musicali di versi, pensieri, quadri, profumi, tavole tattili ecc.;3) dialoghi, discussioni musicali tra due pianoforti, pianoforte e altro strumento, pianoforte e canto improvvisato, pianoforte e oratore improvvisatore.I musicisti futuristi, con il consolidamento del regime fascista, furono osteggiati ed accusati di dilettantismo. Per dare credibilità culturale al regime, occorreva una musica in qualche modo legata alla tradizione e che non si spingesse troppo nel campo sperimentale. Così il posto dei futuristi fu preso dai compositori della generazione dell’Ottanta (Pizzetti, Casella, Malipiero e Respighi) che restituirono all’Italia una dignità strumentale notevole e composero ottima musica. Così i lavori futuristi e i loro strumenti andarono persi e oggi quasi nulla rimane.

«Le qualità transitorie costituiscono il “moderno” di un’opera; quelle immutabili la perseverano dall’ “invecchiare”. Nel “moderno” come nel “vecchio” c’è del buono e del cattivo, dell’autentico e del falso. In senso assoluto il moderno non esiste – in arte esiste solo il nato prima e il nato dopo; ciò che fiorisce a lungo e ciò che in breve appassisce. Ci fu sempre del moderno e dell’antico». (F. Busoni, Saggio di una nuova estetica musicale, 1907)

Le citazioni, salvo diversa indicazione, sono tratte da:
-Stefano Bianchi, La musica futurista: ricerche e documenti, Libreria musicale italiana, Lucca, 1995;
-Daniele Lombardi, Il suono veloce: futurismo e futurismi in musica, Ricordi, Milano, 1996;-Manifesti futuristi reperibili su internet.
-Esiste anche un cd con musica futurista ed è Musica futurista: antologia sonora, a. c. di Daniele Lombardi, Fonit Cedra, FDM0007
Nell'immagine sopra, Luigi Russolo e Ugo Piatti con i loro Intonarumori.

Gianluca Cavallo

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