
Ecco un mio articolo destinato alla Pulce, il giornalino della scuola.
UN LUNGO CAMMINO DA INVENTARE
Avevo appena finito di leggere le Lettere contro la guerra di Terzani (Milano, TEA, 2004) quando vengo a sapere che in due anni di legislatura del governo Prodi, le spese militari sono aumentate del 23% e che 23,5 miliardi di euro saranno stanziati per la difesa nel 2008. Siamo l’ottavo paese al mondo per spese militari e ciò che più preoccupa è che praticamente tutti i paesi della top-ten continuano ad aumentarle (essi sono Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Cina, Giappone, Germania, Russia, Italia, Arabia Saudita, India – fonte SIPRI 2007). Praticamente tutti hanno votato a favore delle spese per il 2008, ma quello che più infastidisce, anche se ormai si dovrebbe essere abituati, è il totale silenzio della stampa. Ma d’altronde anche se la gente l’avesse saputo, non si sarebbe indignata più di tanto, consapevole di non poter fare niente per cambiare le cose. Sulla Pulce di novembre tanti articoli erano volti a sollecitare tutti quanti ad agire concretamente, ma poi quando ci guardiamo intorno vediamo che ciascuno pensa per sé e, se ci volgiamo onestamente verso noi stessi, siamo fermi anche noi. Il mondo è talmente grande, il sistema così complesso, la guerra così lontana che nessuno di noi riesce a convincersi realmente di poter agire in qualche modo per smuovere la situazione. Però rimanere zitti e ad occhi chiusi, fermi nelle nostre convinzioni e determinati ad utilizzare ogni energia soltanto per noi stessi, dovrebbe farci sentire in colpa. Terzani, di fronte alla guerra in Afghanistan, scrive: «(…) non mi scrollo di dosso l’angoscia: l’angoscia di prevedere quello che succederà e di non poterlo evitare, l’angoscia di essere un rappresentante della più moderna, più ricca, più sofisticata civiltà del mondo ora impegnata a bombardare il paese più primitivo e più povero della terra; l’angoscia di appartenere alla razza più grassa e più sazia ora impegnata ad aggiungere nuovo dolore e miseria al già stracarico fardello di disperazione della gente più magra e più affamata del pianeta. C’è qualcosa di immorale, di sacrilego, ma anche di stupido – mi pare – in tutto questo» (p.59). Per quanto noi possiamo essere informati sul mondo orribile della guerra, non potremo mai sapere quanto realmente si soffra quando si ha perso tutto, per colpa di invasori stranieri che cercano di imporre la loro ragione. Ho in mente l’immagine di una donna irakena che grida, piange e si dispera invocando Allah affinché vendichi tutti i suoi parenti morti durante i bombardamenti americani nella sua povera città di cui non rimangono che macerie, tra le quali si alternano uomini minacciosi, col volto scuro e con un arma in mano e spazi vuoti, cosparsi solo di grida, di disperazione e rancore. E questo ci dovrebbe far sentire in colpa. Se ci penso, ogni volta che mangio, che vado a dormire, che vado al bar, o a scuola, penso che tutto quello che io ho, l’ho tolto ad altri che adesso stanno soffrendo o morendo. Naturalmente non credo che si debba rinunciare al cibo o alla scuola in nome dell’uguaglianza, ma quante cose superflue ci sono nelle nostre giornate? E’ facile per noi scrivere un articolo come questo, perché non ci fa nulla. E’ facile seguire spensierati la nostra routine quotidiana, perché ce l’abbiamo assicurata; è facile andare al bar tutte le settimane; è facile per noi partecipare alla Messa perché nessuno ci obbligherà a cambiare modo di vivere; è facile tutto nel nostro mondo benestante e noi ci lamentiamo in continuazione. Beh, in fin dei conti, cosa possiamo fare? Rispondo a questa domanda chiamando in causa di nuovo Terzani: «ognuno di noi può fare qualcosa. Tutti assieme possiamo fare migliaia di cose. La guerra al terrorismo viene oggi usata per la militarizzazione delle nostre società, per produrre nuove armi, per spendere più soldi per la difesa (e qui aggiungerei che, anche se la lettera è del 2002, il discorso è attualissimo). Opponiamoci, non votiamo per chi appoggia questa politica (e aggiungerei: la sostengono praticamente tutti), controlliamo dove abbiamo messo i nostri risparmi e togliamoli da qualsiasi società che abbia anche lontanamente a che fare con l’industria bellica. Diciamo quello che pensiamo, quello che sentiamo essere vero: ammazzare è in ogni circostanza un assassinio. Parliamo di pace, introduciamo una cultura di pace nell’educazione dei giovani. Perché la storia deve essere insegnata soltanto come un’infinita sequenza di guerre e di massacri? (…) Ancor più che fuori, le cause della guerra sono dentro di noi. Sono in passioni come il desiderio, la paura, l’ingordigia, l’orgoglio, la vanità. Lentamente bisogna liberarcene. Dobbiamo cambiare atteggiamento. Cominciamo a prendere le decisioni che ci riguardano e che riguardano gli altri sulla base di più moralità e meno interesse. Facciamo più quello che è giusto, invece di quel che ci conviene. (…)E’ il momento di uscire allo scoperto, è il momento di impegnarsi per i valori in cui si crede. Una civiltà si rafforza con la sua determinazione morale molto più che con nuove armi. (…) Il cammino è lungo e spesso ancora tutto da inventare. Ma preferiamo quello dell’abbrutimento che ci sta dinanzi?»(p. 179-181).
Parole che non hanno bisogno di commenti. Vi proporrei però ancora una piccola riflessione, ammesso che qualcuno sia arrivato a questo punto dell’articolo. Noi occidentali abbiamo attaccato l’Afghanistan e l’Iraq per stanare il nemico, per portare la pace e la democrazia. Naturalmente i fatti ci hanno smentiti (se volete un dvd sull’Iraq chiedetelo in 3E), ma nulla è cambiato. La società islamica è carica d’odio, di desiderio di vendetta, ma la nostra è migliore se uccide migliaia di innocenti? «A noi può parere strano, ma c’è oggi nel mondo un crescente numero di persone che non aspira ad essere come noi, che non insegue i nostri sogni, che non ha le nostre aspettative e i nostri desideri»(p.88). Noi pretendiamo di essere la civiltà razionale ed evoluta, culturalmente e tecnologicamente elevata e ci sentiamo superiori. Nonostante questo – o proprio per questo - massacriamo la gente, la torturiamo nelle carceri fuori dai nostri confini, distruggiamo l’ambiente; tutti dovrebbero essere uguali a noi, il mondo dovrebbe essere globalizzato e fatto a nostra “immagine e somiglianza”. Questi non sono ragionamenti espliciti dei nostri governanti o nostri, ma il risultato è quello. Allora io mi chiedo: ma questa è la democrazia? In realtà forse non esiste ed è una forma di “meno peggio” che determina la soppressione di chi è più debole. Meno peggio per noi, per la nostra comoda vita. Sarebbe bello se ci fosse vera democrazia, vera pace, vera giustizia. Non ci saranno mai, credo. Tuttavia non dobbiamo rassegnarci: qualcosa si può cambiare e noi abbiamo il dovere di farlo. Cerchiamo di cambiare il nostro mondo – partendo da noi stessi – per cambiare il mondo degli altri.
Parole che non hanno bisogno di commenti. Vi proporrei però ancora una piccola riflessione, ammesso che qualcuno sia arrivato a questo punto dell’articolo. Noi occidentali abbiamo attaccato l’Afghanistan e l’Iraq per stanare il nemico, per portare la pace e la democrazia. Naturalmente i fatti ci hanno smentiti (se volete un dvd sull’Iraq chiedetelo in 3E), ma nulla è cambiato. La società islamica è carica d’odio, di desiderio di vendetta, ma la nostra è migliore se uccide migliaia di innocenti? «A noi può parere strano, ma c’è oggi nel mondo un crescente numero di persone che non aspira ad essere come noi, che non insegue i nostri sogni, che non ha le nostre aspettative e i nostri desideri»(p.88). Noi pretendiamo di essere la civiltà razionale ed evoluta, culturalmente e tecnologicamente elevata e ci sentiamo superiori. Nonostante questo – o proprio per questo - massacriamo la gente, la torturiamo nelle carceri fuori dai nostri confini, distruggiamo l’ambiente; tutti dovrebbero essere uguali a noi, il mondo dovrebbe essere globalizzato e fatto a nostra “immagine e somiglianza”. Questi non sono ragionamenti espliciti dei nostri governanti o nostri, ma il risultato è quello. Allora io mi chiedo: ma questa è la democrazia? In realtà forse non esiste ed è una forma di “meno peggio” che determina la soppressione di chi è più debole. Meno peggio per noi, per la nostra comoda vita. Sarebbe bello se ci fosse vera democrazia, vera pace, vera giustizia. Non ci saranno mai, credo. Tuttavia non dobbiamo rassegnarci: qualcosa si può cambiare e noi abbiamo il dovere di farlo. Cerchiamo di cambiare il nostro mondo – partendo da noi stessi – per cambiare il mondo degli altri.
Gian (3E)
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