"Ma questi Area... che strani!"
event '76
Registrato dal vivo nell'Aula Magna dell'Università Statale di Milano (1976)
1a parte: | |
Caos IIa parte (20'15") | |
2a parte: | |
Caos IIa parte (9'18") | |
Event '76 (9'27") |
Patrizio Fariselli: pianoforte
Steve Lacy: sax soprano
Paul Litton: percussioni
Demetrio Stratos: voce
Paolo Tofani: chitarra, sintetizzatore Tcherapnin
Caos (parte seconda)
cronistoria di una ben strana serata.
Nel 1976, al tempo della registrazione di "Maledetti", ricevemmo una proposta di concerto da tenersi nell'aula magna dell'Università Statale di Milano.
Demetrio, Paolo ed io, approfittammo della presenza di Steve Lacy e Paul Litton, da noi invitati per una collaborazione nel disco, per sperimentare dal vivo "CAOS (parte seconda)".
Ci ispirammo a un aneddoto raccontato da Cage in "Per gli uccelli, conversazioni con Daniel Charles", che ci aveva colpito e divertito allo stesso tempo; raccontava di un gruppo di jazzisti di Chicago che un giorno gli si presentarono chiedendogli un consiglio per "...farli andare nella direzione giusta."
Quello che Cage suggerì loro fu semplice e allo stesso tempo difficile: suonare improvvisando liberamente ma... senza che ognuno ascoltasse quello che faceva l'altro. Era esattamente il contrario di quanto essi praticavano normalmente, infatti era prerogativa delle improvvisazioni collettive "free" di quegli anni, cercare una comunione di intenti; nonostante la dissoluzione delle forme convenzionali (soprattutto ritmiche) rimaneva la volontà dei musicisti di fondersi in un insieme organico, faceva parte del lessico di quella musica.
In questo caso dunque, seguendo l'indicazione di Cage, ogni musicista avrebbe dovuto portare avanti il proprio discorso non curandosi di quanto gli accadeva attorno. Potevano dire di no, e invece accettarono!
Cage raccontò che la sera del concerto, all'inizio le cose andarono molto bene, poi, piano piano, l'abitudine prese il sopravvento, cominciarono ad ascoltarsi, a rispondersi e la serata finì nel loro modo solito di intendere la musica, costruendo qualcosa collettivamente.
Commentò così: "E' molto difficile liberarsi!"
Ecco, noi invece volevamo esserlo davvero liberi e, nel concerto alla Statale, realizzare la proposta di Cage (alla nostra maniera s'intende).
Imbastimmo il progetto: preparammo una quantità di bigliettini su ognuno dei quali era segnata un'indicazione, un suggerimento da interpretare liberamente. Erano cinque, come i musicisti in scena: "Ipnosi, Silenzio, Violenza, Ironia e Sesso".
I biglietti vennero mischiati come un mazzo di carte e distribuiti a caso. Una dozzina circa, a testa.
Avevamo assegnato un tempo di tre minuti per ogni suggestione e quando il direttore d'orchestra (mio fratello munito di cronometro) segnava il tempo, ogni musicista passava al biglietto successivo interpretando l'indicazione come meglio riteneva e, comunque, indipendentemente da quanto gli altri facessero.
Fin qui nulla di particolare, sarebbe stato un concerto di musica contemporanea come tanti se ne fanno, se non che, tanto per cambiare, si ingenerò un equivoco che fece diventare il concerto una specie di trappola per molti dei convenuti quella sera.
La gente si aspettava un concerto "classico" degli Area; i ragazzi dell'università avrebbero voluto ascoltare i pezzi che già conoscevano: "Luglio, agosto, settembre, (nero)", "L'Internazionale", persino "Lobotomia" gli sarebbe andata bene.
Invece gli ammannimmo "CAOS (parte seconda)" e, nella seconda parte della serata "Event 76", variazione sul tema di "Scum", un brano che avevamo appena registrato in "Maledetti".
Forse sarebbe stato più corretto annunciare la particolarità della serata spiegando quanto si sarebbe eseguito, invece fu programmato un concerto "Area" senza specificare altro. In sala c'era anche mia madre (non mi perdonò mai di averla invitata).
Gran presenza di pubblico e di critica, (come si suol dire in questi casi) compreso, cosa insolita, un nutrito stuolo di critici e di appassionati di jazz; evidentemente incuriositi dalla presenza di Lacy e Litton.
Non se ne vedevano spesso ai concerti Area; nonostante il nostro legame con il jazz fosse sempre stato molto stretto, eravamo stati etichettati come musicisti rock (o salamadonnacos'altro) e non c'era verso di smuoverli.
Meglio così!
Iniziammo.
Litton era circondato da una struttura circolare dalla quale pendevano ogni sorta di percussioni, ammennicoli che parevano provenire più da una discarica che da un negozio di strumenti.
Demetrio diede sfogo a tutto il suo repertorio di vocalizzi che a quei tempi stava cominciando ad elaborare.
Lacy suonò il suo sax soprano nel modo a lui più congeniale: cioè con il massimo della libertà e Paolo estraeva dalla chitarra e dai suoi sintetizzatori suoni estremamente ricercati ed inusuali.
Dal canto mio scelsi, per quella sera, di non usare né il piano elettrico, col quale normalmente mi esibivo, né il sintetizzatore, bensì mi limitai a maltrattare un bel pianoforte acustico sia "preparandolo" (con chiodi, viti, bulloni, cunei di legno, feltro etc.), sia suonandolo in modo tradizionale.
Al solito, il pubblico spese i primi minuti per inquadrare la situazione, ebbe il sospetto e di seguito la certezza che la cosa sarebbe andata avanti così per un pezzo e ci rovesciò addosso tutta la disillusione di una serata apparentemente tradita.
Fu il tumulto.
Urla, strepiti, risa e via così per un bel po', poi quasi tutti parvero farsene una ragione (in fondo non era la prima volta che sorprendevamo il nostro pubblico con trovate imprevedibili); nessuno se ne andò, cominciarono ad ascoltare e, anzi, si verificarono svariati episodi di collaborazione creativa. Come quando qualcuno dalla platea cominciò a far tintinnare un mazzo di chiavi e fu subito imitato da molti altri contribuendo efficacemente alla "metallicità" del sound generale; poi, visto che fuori pioveva e gli ombrelli in sala erano numerosi, cominciarono ad aprirli e chiuderli ritmicamente rendendo dinamica la scenografia e allargando i confini del palcoscenico.
Alla fine la gente si divertì. Fu davvero una serata intensa. Dal nostro punto di vista fu un successo poiché ottenemmo il risultato musicale che ci eravamo prefissati.
I musicisti presenti in sala che ci conoscevano, gli amici stessi rimasero però alquanto perplessi! Così spiazzati, che alla fine del concerto se la svignarono alla chetichella, quasi senza salutare.
Erano imbarazzati per non aver saputo interpretare la serata?
L'unico che udimmo esprimersi con parole chiare, anche perché data la gran folla non aveva potuto guadagnare l'uscita prima, fu il mitico direttore di "Musica Jazz" Arrigo Polillo.
Fu udito biascicare: "Ma questi Area, ...che strani!"
http://www.fariselliproject.com/event76.htm
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