martedì 25 marzo 2008

THROBBING GRISTLE: Part Two - The Endless Not

THROBBING GRISTLE

Part Two - The Endless Not

Industrial.... mai sentito niente. Ho cominciato con questo album dei Throbbing Gristle, recensito da Ondarock come miglior disco del 2007. Assolutamente ottimo. E' un disco che non posso far altro che consigliare e sul quale sospendo ogni commento dato che del genere non sono per nulla esperto. Vi rimando alla recensione di ondarock: http://www.ondarock.it/recensioni/2007_tg.htm

Sounds good.

sabato 22 marzo 2008

Area: Event '76

"Ma questi Area... che strani!"


event '76
Registrato dal vivo nell'Aula Magna dell'Università Statale di Milano (1976)

1a parte:
Caos IIa parte (20'15")
2a parte:
Caos IIa parte (9'18")
Event '76 (9'27")

Patrizio Fariselli: pianoforte
Steve Lacy: sax soprano
Paul Litton: percussioni
Demetrio Stratos: voce
Paolo Tofani: chitarra, sintetizzatore Tcherapnin

Caos (parte seconda)
cronistoria di una ben strana serata.
Nel 1976, al tempo della registrazione di "Maledetti", ricevemmo una proposta di concerto da tenersi nell'aula magna dell'Università Statale di Milano.
Demetrio, Paolo ed io, approfittammo della presenza di Steve Lacy e Paul Litton, da noi invitati per una collaborazione nel disco, per sperimentare dal vivo "CAOS (parte seconda)".
Ci ispirammo a un aneddoto raccontato da Cage in "Per gli uccelli, conversazioni con Daniel Charles", che ci aveva colpito e divertito allo stesso tempo; raccontava di un gruppo di jazzisti di Chicago che un giorno gli si presentarono chiedendogli un consiglio per "...farli andare nella direzione giusta."
Quello che Cage suggerì loro fu semplice e allo stesso tempo difficile: suonare improvvisando liberamente ma... senza che ognuno ascoltasse quello che faceva l'altro. Era esattamente il contrario di quanto essi praticavano normalmente, infatti era prerogativa delle improvvisazioni collettive "free" di quegli anni, cercare una comunione di intenti; nonostante la dissoluzione delle forme convenzionali (soprattutto ritmiche) rimaneva la volontà dei musicisti di fondersi in un insieme organico, faceva parte del lessico di quella musica.
In questo caso dunque, seguendo l'indicazione di Cage, ogni musicista avrebbe dovuto portare avanti il proprio discorso non curandosi di quanto gli accadeva attorno. Potevano dire di no, e invece accettarono!
Cage raccontò che la sera del concerto, all'inizio le cose andarono molto bene, poi, piano piano, l'abitudine prese il sopravvento, cominciarono ad ascoltarsi, a rispondersi e la serata finì nel loro modo solito di intendere la musica, costruendo qualcosa collettivamente.
Commentò così: "E' molto difficile liberarsi!"
Ecco, noi invece volevamo esserlo davvero liberi e, nel concerto alla Statale, realizzare la proposta di Cage (alla nostra maniera s'intende).
Imbastimmo il progetto: preparammo una quantità di bigliettini su ognuno dei quali era segnata un'indicazione, un suggerimento da interpretare liberamente. Erano cinque, come i musicisti in scena: "Ipnosi, Silenzio, Violenza, Ironia e Sesso".
I biglietti vennero mischiati come un mazzo di carte e distribuiti a caso. Una dozzina circa, a testa.
Avevamo assegnato un tempo di tre minuti per ogni suggestione e quando il direttore d'orchestra (mio fratello munito di cronometro) segnava il tempo, ogni musicista passava al biglietto successivo interpretando l'indicazione come meglio riteneva e, comunque, indipendentemente da quanto gli altri facessero.
Fin qui nulla di particolare, sarebbe stato un concerto di musica contemporanea come tanti se ne fanno, se non che, tanto per cambiare, si ingenerò un equivoco che fece diventare il concerto una specie di trappola per molti dei convenuti quella sera.
La gente si aspettava un concerto "classico" degli Area; i ragazzi dell'università avrebbero voluto ascoltare i pezzi che già conoscevano: "Luglio, agosto, settembre, (nero)", "L'Internazionale", persino "Lobotomia" gli sarebbe andata bene.
Invece gli ammannimmo "CAOS (parte seconda)" e, nella seconda parte della serata "Event 76", variazione sul tema di "Scum", un brano che avevamo appena registrato in "Maledetti".
Forse sarebbe stato più corretto annunciare la particolarità della serata spiegando quanto si sarebbe eseguito, invece fu programmato un concerto "Area" senza specificare altro. In sala c'era anche mia madre (non mi perdonò mai di averla invitata).
Gran presenza di pubblico e di critica, (come si suol dire in questi casi) compreso, cosa insolita, un nutrito stuolo di critici e di appassionati di jazz; evidentemente incuriositi dalla presenza di Lacy e Litton.
Non se ne vedevano spesso ai concerti Area; nonostante il nostro legame con il jazz fosse sempre stato molto stretto, eravamo stati etichettati come musicisti rock (o salamadonnacos'altro) e non c'era verso di smuoverli.
Meglio così!
Iniziammo.
Litton era circondato da una struttura circolare dalla quale pendevano ogni sorta di percussioni, ammennicoli che parevano provenire più da una discarica che da un negozio di strumenti.
Demetrio diede sfogo a tutto il suo repertorio di vocalizzi che a quei tempi stava cominciando ad elaborare.
Lacy suonò il suo sax soprano nel modo a lui più congeniale: cioè con il massimo della libertà e Paolo estraeva dalla chitarra e dai suoi sintetizzatori suoni estremamente ricercati ed inusuali.
Dal canto mio scelsi, per quella sera, di non usare né il piano elettrico, col quale normalmente mi esibivo, né il sintetizzatore, bensì mi limitai a maltrattare un bel pianoforte acustico sia "preparandolo" (con chiodi, viti, bulloni, cunei di legno, feltro etc.), sia suonandolo in modo tradizionale.
Al solito, il pubblico spese i primi minuti per inquadrare la situazione, ebbe il sospetto e di seguito la certezza che la cosa sarebbe andata avanti così per un pezzo e ci rovesciò addosso tutta la disillusione di una serata apparentemente tradita.
Fu il tumulto.
Urla, strepiti, risa e via così per un bel po', poi quasi tutti parvero farsene una ragione (in fondo non era la prima volta che sorprendevamo il nostro pubblico con trovate imprevedibili); nessuno se ne andò, cominciarono ad ascoltare e, anzi, si verificarono svariati episodi di collaborazione creativa. Come quando qualcuno dalla platea cominciò a far tintinnare un mazzo di chiavi e fu subito imitato da molti altri contribuendo efficacemente alla "metallicità" del sound generale; poi, visto che fuori pioveva e gli ombrelli in sala erano numerosi, cominciarono ad aprirli e chiuderli ritmicamente rendendo dinamica la scenografia e allargando i confini del palcoscenico.
Alla fine la gente si divertì. Fu davvero una serata intensa. Dal nostro punto di vista fu un successo poiché ottenemmo il risultato musicale che ci eravamo prefissati.
I musicisti presenti in sala che ci conoscevano, gli amici stessi rimasero però alquanto perplessi! Così spiazzati, che alla fine del concerto se la svignarono alla chetichella, quasi senza salutare.
Erano imbarazzati per non aver saputo interpretare la serata?
L'unico che udimmo esprimersi con parole chiare, anche perché data la gran folla non aveva potuto guadagnare l'uscita prima, fu il mitico direttore di "Musica Jazz" Arrigo Polillo.
Fu udito biascicare: "Ma questi Area, ...che strani!"

http://www.fariselliproject.com/event76.htm

Forum dei licei scientifico e classico di Cuneo

Il forum del Liceo "Peano" di Cuneo è diventato Forum dei licei scientifico e classico di Cuneo, rispettivamente intitolati a Giuseppe Peano e Silvio Pellico.
L'idea è quindi chiaramente quella di inglobare anche il classico all’indirizzo www.peanopellico.forumfree.net . Tale sito potrebbe essere una risorsa importante per il confronto e la discussione tra di noi. Forse però non sono in molti ad aver davvero voglia di discutere, di mettere in ballo le proprie idee e di confrontarle con quelle degli altri. Però questo vuol dire essere studenti, non solo passare le ore – doverose senza dubbio – sui libri per ciò che ci è imposto.

Ciao

Gianluca.

venerdì 21 marzo 2008

Un lungo cammino da inventare


Ecco un mio articolo destinato alla Pulce, il giornalino della scuola.

UN LUNGO CAMMINO DA INVENTARE
Avevo appena finito di leggere le Lettere contro la guerra di Terzani (Milano, TEA, 2004) quando vengo a sapere che in due anni di legislatura del governo Prodi, le spese militari sono aumentate del 23% e che 23,5 miliardi di euro saranno stanziati per la difesa nel 2008. Siamo l’ottavo paese al mondo per spese militari e ciò che più preoccupa è che praticamente tutti i paesi della top-ten continuano ad aumentarle (essi sono Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Cina, Giappone, Germania, Russia, Italia, Arabia Saudita, India – fonte SIPRI 2007). Praticamente tutti hanno votato a favore delle spese per il 2008, ma quello che più infastidisce, anche se ormai si dovrebbe essere abituati, è il totale silenzio della stampa. Ma d’altronde anche se la gente l’avesse saputo, non si sarebbe indignata più di tanto, consapevole di non poter fare niente per cambiare le cose. Sulla Pulce di novembre tanti articoli erano volti a sollecitare tutti quanti ad agire concretamente, ma poi quando ci guardiamo intorno vediamo che ciascuno pensa per sé e, se ci volgiamo onestamente verso noi stessi, siamo fermi anche noi. Il mondo è talmente grande, il sistema così complesso, la guerra così lontana che nessuno di noi riesce a convincersi realmente di poter agire in qualche modo per smuovere la situazione. Però rimanere zitti e ad occhi chiusi, fermi nelle nostre convinzioni e determinati ad utilizzare ogni energia soltanto per noi stessi, dovrebbe farci sentire in colpa. Terzani, di fronte alla guerra in Afghanistan, scrive: «(…) non mi scrollo di dosso l’angoscia: l’angoscia di prevedere quello che succederà e di non poterlo evitare, l’angoscia di essere un rappresentante della più moderna, più ricca, più sofisticata civiltà del mondo ora impegnata a bombardare il paese più primitivo e più povero della terra; l’angoscia di appartenere alla razza più grassa e più sazia ora impegnata ad aggiungere nuovo dolore e miseria al già stracarico fardello di disperazione della gente più magra e più affamata del pianeta. C’è qualcosa di immorale, di sacrilego, ma anche di stupido – mi pare – in tutto questo» (p.59). Per quanto noi possiamo essere informati sul mondo orribile della guerra, non potremo mai sapere quanto realmente si soffra quando si ha perso tutto, per colpa di invasori stranieri che cercano di imporre la loro ragione. Ho in mente l’immagine di una donna irakena che grida, piange e si dispera invocando Allah affinché vendichi tutti i suoi parenti morti durante i bombardamenti americani nella sua povera città di cui non rimangono che macerie, tra le quali si alternano uomini minacciosi, col volto scuro e con un arma in mano e spazi vuoti, cosparsi solo di grida, di disperazione e rancore. E questo ci dovrebbe far sentire in colpa. Se ci penso, ogni volta che mangio, che vado a dormire, che vado al bar, o a scuola, penso che tutto quello che io ho, l’ho tolto ad altri che adesso stanno soffrendo o morendo. Naturalmente non credo che si debba rinunciare al cibo o alla scuola in nome dell’uguaglianza, ma quante cose superflue ci sono nelle nostre giornate? E’ facile per noi scrivere un articolo come questo, perché non ci fa nulla. E’ facile seguire spensierati la nostra routine quotidiana, perché ce l’abbiamo assicurata; è facile andare al bar tutte le settimane; è facile per noi partecipare alla Messa perché nessuno ci obbligherà a cambiare modo di vivere; è facile tutto nel nostro mondo benestante e noi ci lamentiamo in continuazione. Beh, in fin dei conti, cosa possiamo fare? Rispondo a questa domanda chiamando in causa di nuovo Terzani: «ognuno di noi può fare qualcosa. Tutti assieme possiamo fare migliaia di cose. La guerra al terrorismo viene oggi usata per la militarizzazione delle nostre società, per produrre nuove armi, per spendere più soldi per la difesa (e qui aggiungerei che, anche se la lettera è del 2002, il discorso è attualissimo). Opponiamoci, non votiamo per chi appoggia questa politica (e aggiungerei: la sostengono praticamente tutti), controlliamo dove abbiamo messo i nostri risparmi e togliamoli da qualsiasi società che abbia anche lontanamente a che fare con l’industria bellica. Diciamo quello che pensiamo, quello che sentiamo essere vero: ammazzare è in ogni circostanza un assassinio. Parliamo di pace, introduciamo una cultura di pace nell’educazione dei giovani. Perché la storia deve essere insegnata soltanto come un’infinita sequenza di guerre e di massacri? (…) Ancor più che fuori, le cause della guerra sono dentro di noi. Sono in passioni come il desiderio, la paura, l’ingordigia, l’orgoglio, la vanità. Lentamente bisogna liberarcene. Dobbiamo cambiare atteggiamento. Cominciamo a prendere le decisioni che ci riguardano e che riguardano gli altri sulla base di più moralità e meno interesse. Facciamo più quello che è giusto, invece di quel che ci conviene. (…)E’ il momento di uscire allo scoperto, è il momento di impegnarsi per i valori in cui si crede. Una civiltà si rafforza con la sua determinazione morale molto più che con nuove armi. (…) Il cammino è lungo e spesso ancora tutto da inventare. Ma preferiamo quello dell’abbrutimento che ci sta dinanzi?»(p. 179-181).
Parole che non hanno bisogno di commenti. Vi proporrei però ancora una piccola riflessione, ammesso che qualcuno sia arrivato a questo punto dell’articolo. Noi occidentali abbiamo attaccato l’Afghanistan e l’Iraq per stanare il nemico, per portare la pace e la democrazia. Naturalmente i fatti ci hanno smentiti (se volete un dvd sull’Iraq chiedetelo in 3E), ma nulla è cambiato. La società islamica è carica d’odio, di desiderio di vendetta, ma la nostra è migliore se uccide migliaia di innocenti? «A noi può parere strano, ma c’è oggi nel mondo un crescente numero di persone che non aspira ad essere come noi, che non insegue i nostri sogni, che non ha le nostre aspettative e i nostri desideri»(p.88). Noi pretendiamo di essere la civiltà razionale ed evoluta, culturalmente e tecnologicamente elevata e ci sentiamo superiori. Nonostante questo – o proprio per questo - massacriamo la gente, la torturiamo nelle carceri fuori dai nostri confini, distruggiamo l’ambiente; tutti dovrebbero essere uguali a noi, il mondo dovrebbe essere globalizzato e fatto a nostra “immagine e somiglianza”. Questi non sono ragionamenti espliciti dei nostri governanti o nostri, ma il risultato è quello. Allora io mi chiedo: ma questa è la democrazia? In realtà forse non esiste ed è una forma di “meno peggio” che determina la soppressione di chi è più debole. Meno peggio per noi, per la nostra comoda vita. Sarebbe bello se ci fosse vera democrazia, vera pace, vera giustizia. Non ci saranno mai, credo. Tuttavia non dobbiamo rassegnarci: qualcosa si può cambiare e noi abbiamo il dovere di farlo. Cerchiamo di cambiare il nostro mondo – partendo da noi stessi – per cambiare il mondo degli altri.

Gian (3E)

giovedì 20 marzo 2008

Tibet: un'azione urgente da Amnesty International

Pubblico una mail di Amnesty International. Mi sembra che sia doveroso conoscere un minimo la situazione dei monaci tibetani in questo periodo e se è possibile fare qualcosa, come sottoscrivere l'appello di Amnesty, la quale, proprio grazie a sostegni semplici di questo tipo, spesso riesce ad agire concretamente laddove rileva gravi violazioni dei diritti basilari dell'uomo, proprio come sta avvenendo in questo momento in Tibet.

Care e cari,

a seguito delle proteste scoppiate lunedì 10 marzo in Tibet in cui sono
stati arrestati numerosi monaci tibetani, Amnesty International ha
lanciato oggi un'azione urgente in favore di 15 monaci arrestati e
scomparsi.

Si tratta di Samten, Trulku Tenpa Rigsang, Gelek Pel, Lobsang, Lobsang
Thukjey, Tsultrim Palden, Lobsher, Phurden, Thupdon, Lobsang Ngodup,
Lodoe, Thupwang, Pema Garwang, Tsegyam e Soepa, in carcere dal 10 marzo
per aver preso parte a una manifestazione pacifica a Barkhor, Lhasa, la
capitale della Regione autonoma tibetana. Non si hanno ulteriori
informazioni sul luogo in cui sono detenuti né su eventuali accuse
formulate nei loro confronti e Amnesty International teme rischino di
subire torture e altri maltrattamenti.

Vi chiediamo di firmare e far firmare l'appello per la loro scarcerazione
alla pagina:
http://www.amnesty.it/appelli/azioni_urgenti/Tibet?page=azioni_urgenti


BACKGROUND:

Le proteste sono scoppiate lunedì 10 quando circa 400 monaci hanno
marciato dal monastero di Drepung verso Lhasa, chiedendo la fine della
campagna governativa che costringe i monaci ad abiurare il Dalai Lama e a
subire propaganda politica. Oltre 50 di loro sono stati arrestati nel
corso della marcia. I monaci di altri monasteri sono scesi in strada
chiedendo la scarcerazione degli arrestati. Le proteste hanno dato vita a
disordini a Lhasa e in altre zone del paese.

La polizia e i soldati hanno lanciato gas lacrimogeni, hanno assalito i
dimostranti e hanno esploso proiettili nel tentativo di disperdere la
folla. Venerdì le proteste a Lhasa hanno assunto un carattere violento.
Fonti ufficiali cinesi hanno annunciato la morte di 10 persone, per lo più
uomini d’affari di Lhasa. Voci non confermate hanno riferito di un numero
maggiore di vittime.

A Lhasa vige il coprifuoco e i negozi sono chiusi. La città è stata
isolata tramite posti di blocco, mentre il centro è presidiato da veicoli
blindati e mezzi della polizia. Le forze di sicurezza hanno anche
circondato tre importanti monasteri di Lhasa, costringendo i monaci a
serrarsi all’interno e picchiando chi tentava di uscire. I monaci del
monastero di Sera hanno iniziato uno sciopero della fame per costringere i
militari cinesi a sciogliere l’assedio.

Proteste pacifiche di tibetani si sono svolte anche in Nepal e in India.
Qui, dimostranti che intendevano marciare verso il confine cinese sono
stati fermati e arrestati. A Kathmandu, la capitale nepalese, le
manifestazioni sono state sciolte con violenza e alcune persone sono state
trattenute in carcere per breve tempo, picchiate e sottoposte a ulteriori
maltrattamenti.


Amnesty International
Sezione Italiana

mercoledì 5 marzo 2008

Ignoranza diffusa


Oggi c'è stata un'assemblea d'istituto e nel gruppo di discussione in cui ero io siamo arrivati a parlare dell'immigrazione. Il discorso è già stato introdotto male, quando un ragazzo ha detto che nelle discoteche c'è sempre qualche albanese che attacca rissa o minaccia con un coltello. A parte il fatto che è stato smentito dalla sua stessa dichiarazione di non averne mai avuto esperienza diretta, il problema è un altro: il pregiudizio razziale io speravo che fosse diffuso tra le persone più anziane, tra i più ignoranti, tra i razzisti e leghisti, ma in realtà questo è diffuso ovunque e la gente sostiene con una certa forze le proprie posizioni che puntano il dito contro gli immigrati. Non si dicono razzisti e dichiarano di constatare semplicemente la palese evidenza dei fatti. La realtà è l'inverso: essi sono razzisti e vedono della realtà solo quello che fa loro comodo, gonfiandolo oltremodo e assumendolo come verità assoluta dietro la quale mascherare la loro xenofobia. E' facile dire che se noi emigrassimo ci comporteremmo meglio, che cercheremmo un lavoro e se non lo trovassimo ce ne andremmo via. Tanto a noi non succede, per fortuna. Ma proviamo a metterci davvero nei panni di un uomo che parte dal suo paese perché costretto dalla circostanze non certo fortunate, arriva qui da noi e viene accolto brutalmente dalla polizia, come spesso accade, e poi magari non riesce a trovare di meglio che un lavoro in nero. In questo modo il datore di lavoro tiene il salario basso e magari ne pretende anche una percentuale, poiché lui non può ribellarsi, se vuole campare. Lavoro pessimo quindi, ma che lui continua per forza a fare, poi un giorno, date le misure di sicurezza, muore. Tutto occultato, nuovo lavoratore. Oppure un ragazzo che viene qui e si sente dire "tornatene al tuo paese", "noi non vi vogliamo" e cose simili, si sente osservato e tacciato come diverso, vede le occhiate sospettose delle signore per bene che stringono a sè la borsetta al loro passaggio. E' naturale che poi siano scontrosi, che capiti che arrivino a picchiare anche per motivi apparentemente futitili. E poi parliamoci chiaro: se c'è lo straniero che si comporta così, c'è anche l'italiano. Smettiamola di vivere con il paraocchi, di sentire solo quello che ci dice la tv, la vedere e capire solo ciò che vogliamo. Siamo tutti cittadini del mondo, cerchiamo di vivere in pace.

La scorsa settimana mi hanno regalato un libro interessantissimo sull'argomento: Divieto di soggiorno di Rula Jebreal (ed. Rizzoli). Uno sguardo sull'immigrazione che elude i luoghi comuni. Consigliabile. Il giudizio su IBS è pessimo e effettivamente alcune cose sono un pò superficiali, ma è certo che in un libro non si può sintetizzare l'esperienza di 3 milioni di immigrati e non è vero che questo libro demonizza la società italiana o vittimizza gli immigrati. Mi sembra che dia una visione piuttosto corretta del problema.