In breve, egoità e individualità
sono concetti assai diversi e nell’ultimo si può rilevare assai chiaramente la
composizione. Col primo noi ci contrapponiamo a tutto ciò che è fuori di noi,
non solamente alle persone al di fuori di noi, e comprendiamo in esso non solo
la nostra determinata personalità, ma la nostra spiritualità in generale, e
così la parola viene usata nel linguaggio sia filosofico sia comune. (…)
Tuttavia i nostri oppositori insistono sulla
loro incapacità di pensare il concetto [di egoità] che da loro si richiede e
noi dobbiamo credere alle loro parole. (…) Essi lo hanno certamente in sé, solo
che non sanno di averlo. La ragione di questa loro incapacità non sta in una
particolare debolezza della loro capacità di pensare, ma in una debolezza del
loro complessivo carattere. Il loro io, nel senso in cui essi prendono la
parola, cioè la loro persona individuale, è il fine ultimo del loro agire e
dunque anche il confine del loro pensare sensato. Esso è per loro l’unica
sostanza autentica e la ragione è solo un accidente. La loro persona non esiste
come una particolare espressione della ragione; è invece la ragione a esistere
per aiutare questa persona nel mondo, e se quest’ultima potesse sentirsi bene
anche senza ragione, allora noi potremmo farne a meno e non ci sarebbe in
effetti alcuna ragione. (…)
Nella dottrina della scienza il
rapporto è totalmente l’opposto: qui la ragione è l’unico in sé e l’individualità
è solo accidentale, la ragione lo scopo e la personalità il mezzo; quest’ultima
solo un particolare modo di esprimere la ragione, che sempre più deve perdersi
nella generale forma di quella. Solo la ragione è eterna per la dottrina della
scienza; l’individualità deve per contro continuamente venir meno. Chi non disponga
fin dall’inizio il suo volere in quest’ordine delle cose non otterrà neppure il vero intendimento della dottrina
della scienza.
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