venerdì 9 settembre 2011

Oltre il postmoderno, senza illuminismo

Leggo in questi giorni della proposta di Maurizio Ferraris di abbandonare definitivamente il postmoderno e il pensiero debole in favore di un “nuovo realismo”, che riabiliti le nozioni di verità e di realtà, messe in dubbio dal postmoderno (La Repubblica 08/08/2011). Egli allora propone tre parole chiave: Ontologia, Critica e Illuminismo.

Sulle prime due sono perfettamente d’accordo. Sulla terza, invece, no. Dice Ferraris: “l´Illuminismo richiede ancora oggi una scelta di campo, e una fiducia nell´umanità, nel sapere e nel progresso”. Personalmente ritengo che la critica all’Illuminismo sia ormai un punto irrinunciabile e forse l’unica cosa che mi sento di accettare dal postmoderno. Il quale si è poi arenato nel nichilismo e nell’inettitudine politica e filosofica.

Innanzitutto, la Ragione degli illuministi è una ragione ideologica, che serve a legittimare le leggi, lo stato, le istituzioni, e in generale il modello occidentale, che si baserebbe su questa Ragione e che per questo sarebbe superiore a qualsiasi altro modello. La Ragione illuminista è perciò alla base dei soprusi, del colonialismo, dell’imperialismo e di quella forma mascherata di dominio del capitalismo occidentale che oggi va sotto il nome di “globalizzazione”. Quest’ultima, poi, così come il naturale corso del capitalismo, sarebbe indice di progresso (altro concetto fondante dell’Illuminismo), di sviluppo. Ma dobbiamo renderci conto che questo progresso e sviluppo significa lo sfruttamento dei lavoratori dei paesi meno sviluppati, la devastazione dei loro territori naturali, nonché l’esaurimento delle risorse globali e l’inquinamento indiscriminato della terra.

Sono dei dati scientifici a dimostrarci l’insostenibilità di questo modello di sviluppo: altro che illuminismo! Sappiamo che la popolazione mondiale sta consumando 1,3 pianeti, cioè più di quanto si possa in natura riprodurre; se tutti i paesi giungessero al livello di sviluppo degli Stati Uniti ci sarebbe bisogno di 4 pianeti.

E che fiducia potremo avere nel sapere, se questo è asservito alla logica del profitto e del capitalismo? Ci sono università dove i programmi di studio sono determinati in base alle richieste delle aziende (multinazionali, vedi ad es. il documentario Water makes money), e questo ormai avverrà anche in Italia, perché la Gelmini permetterà a dei privati di entrare negli organi decisionali delle università e perché queste riceveranno fondi da privati ai quali, così, dovranno poi dei “favori”. E’ chiaro che se dei privati, il cui fine è il profitto immediato, entrano nelle università, non saranno interessati ad intraprendere e finanziare progetti di ricerca volti a rendere ecosostenibile lo sviluppo. Questo sistema, con il modello di impresa che promuove, volta all’accrescimento immediato dei profitti nei giri della finanza, non può essere alla base di nessun tipo di progresso. E il sapere che si allinea a questo modello, non è sostenibile.

Piuttosto io propongo, dal mio piccolo di studentello, di riscoprire il modello di Ragione quale ce lo propongono i Greci (e soprattutto Aristotele). La ragione come mezzo individuale di guida della prassi, di orientamento morale, di azione virtuosa. E un sapere che è slegato dagli interessi di dominio, di potere, di progresso indefinito, ma che si rivolge all’essenziale, al vero, al giusto (anche senza idee platoniche, che, anzi, mi sembrano ciò che tra i Greci più è vicino all'Illuminismo). Questi ultimi sono valori negati dal nichilismo postmoderno, e che possono essere riscoperti. Ma non ha nessun senso ripescare l’illuminismo.

Inoltre mi sembra evidente che i potenti sono sempre stati illuministi, non hanno mai messo in dubbio niente, anche mentre tutto intorno gli artisti e i teorici si dichiaravano postmoderni. E’ l’ora dunque di risvegliarsi dal sogno beatifico di un mondo diventato favola dove non esistono verità né realtà. Di rendersi conto che i potenti questo non l’hanno mai creduto e sono andati avanti sulla loro strada stordendo le popolazioni con i divertissement televisivi e mediatici (che non sono stati per nulla emancipatori, come volevano alcuni). La rete internet ora offre nuove e più autentiche potenzialità. Spegnamo le televisioni e rendiamoci conto della realtà, dei suoi fatti.

4 commenti:

Musidora ha detto...

Complimenti, bell'articolo.

Condivido la riflessioni sull'Illuminismo come progresso falsato, come progresso interpretato ancora una volta dalla parte del potere. è durante l'illuminismo in fondo che si forma la classe borghese, la rivoluzione francese ha contribuito a sedimentarla nel rovesciare l'Antico Regime, per sovrapporvi il Nuovo Capitale.
A parte queste facili considerazioni storiche già note, credo che Ferraris parli di Illuminismo in senso di pensiero laico, di salvezza anti-metafisica, ad ogni modo non sono posizioni già assodate dal postmoderno, e ancora prima nel modernismo? La morte di Dio non è nata ieri, sul fatto che bisogna attenersi ad una cartografia dell'immanenza mi sembra sia ben ribadito a partire da Foucault, il problema restano questi 'benedetti fatti' di cui l'overdose interpretativa postmoderna ha fatto perdere i contorni, almeno a qualcuno, come tu dici giustamente:

'Inoltre mi sembra evidente che i potenti sono sempre stati illuministi, non hanno mai messo in dubbio niente, anche mentre tutto intorno gli artisti e i teorici si dichiaravano postmoderni.'

Si potrebbe dire che il postmoderno per assurdo non sia mai esistito se da una parte non ha certo scosso l'establishment e dall'altra chi propugnava un pensiero laterale lo faceva sotto l'egida rassicurante di una definizione, di un senso di appartenenza alla classe bianca, occidentale, terziario avanzata!?

Ci sono alcuni sommovimenti sociali ad ogni modo che devono molto al postmoderno, penso al femminismo (soprattutto nella variante cyber!) e alle teorie queer.

In conclusione mi sembra di capire che ,a parte per l'indebito riferimento illuminista, tu appoggi il 'new realism' di Ferraris, oppure ti sembra che le riserve sollevate da Vattimo siano da tenere in conto?

Musidora

Gianluca ha detto...

Trovo che Ferraris parlando di Illuminismo non proponga nulla di nuovo; semmai si mette sulla linea di Habermas che considera (o considerva, non so) il progetto moderno con un progetto incompiuto e da riprendere. Io non sono su questa linea. Habermas dicendo ciò criticava Jonas etichettandolo come conservatore; io ritengo fondamentale Jonas e non sono conservatore.
Condivido ciò che tu dici, ma non credo che si possa affermare che il postmoderno non è mai esistito. Secondo me, però, pur partendo in certi casi con un'intenzione opposto, ha finito per fare il gioco del potere.
Sul New Ralism, bisognerebbe vederlo declinato in una riflessione filosofica compiuta, ma dal semplice articolo mi sembra che sia in parte condivisibile (ontologia e critica). Vattimo mi sembra ormai un pò ridicolo, vittima delle sue stesse posizioni. Ogni volta che lo senti finisce col dire che non è sicuro di quello che dice, che forse non è così, insomma, trae le conseguenze del suo nichilismo e non ne cava molto di buono. Non mi pare che abbia senso sostenere che la verità è di chi è al potere. Quella semmai è la falsa coscienza, l'ideologia della classe dominante, in termini marxiani. La verità è altrove... Aristotelicamente potremmo dire che quella che passa il potere è una verità apparente, ma sappiamo bene che ve ne è un'altra e nostro compito è coglerla.
Non conosco l'eredità del postmoderno nel femminismo e non so cosa sia il queer. Se me ne fai un cenno, te ne sono grato.

Musidora ha detto...

Io invece non conosco né Habermas né Jonas... Non ho vere e proprie competenze filosofiche, studio Lettere (post)moderne.

La cosa che il postmoderno non sia mai esistito l'ho lanciata lì un po' come provocazione, senza argomentarla, per dire che si tratta di un discorso che dovrebbe portare alla ribalta le periferie del pensiero, le minoranze - e tra queste minoranze anche la questione femminile - quando in realtà non mi sembra abbia scosso di molto il modo di recepire e fare cultura, che resta essenzialmente un monopolio di stampo occidentale bianco e maschile.
In Italia in particolare la situazione accademica è drammaticamente arretrata: non esistono dipartimenti di Gender Studies e anche le Letteratura comparata nella forme più 'tradizionale' è un insegnamento di nicchia rispetto ad altri paesi europei. Il Postmoderno invece dovrebbe aprire una riflessione privilegiata sulle differenze. In questo senso post-strutturalismo e decostruzionismo con i loro principali esponenti (Barthes, Deleuze, Foucault, Derrida...) hanno ispirato molto del pensiero post-femminista. Anche qui, non posso affatto dire di esserne un'esperta, ma mi sembra che in particolare Deleuze con il suo lessico 'eclettico' ha dato un importante contributo a certe posizioni eversive che mirano a mescolare cultura alta e bassa, per creare nuove configurazioni, in ambito femminista posso citarti la soggettività nomade di Rosi Braidotti o la donna-cyborg della Haraway, in comune con Deleuze hanno una certa vitalità e gioia nel pensiero come vettore di metamorfosi e portatore di passioni laterali.

i queer studies sono una branca dei gender studies, sempre in ambito anglo-americano, e fanno riferimento alla questioni di sesso e genere nelle varie elaborazioni mitopoietiche, sociali, politiche. 'Queer' è anche il modo con cui preferiscono essere nominati gli appartenenti della comunità gay-lesbo-trans.

Gianluca ha detto...

Certo il postmoderno ha avuto una notevole influenza culturale e come tutte le cose ha portato anche del buono. Ma nel complesso - e mi sembra che siamo d'accordo - ha promesso emancipazione senza arrivare da nessuna parte (non avendo del resto nemmeno una precisa strada da seguire).