mercoledì 14 settembre 2011
David Harvey sulla crisi
Tra i suoi libri: "Breve storia del neoliberismo" (Il saggiatore), "La crisi della modernità" (Net), "L'enigma del capitale e il prezzo della sua sopravvivenza" (Feltrinelli).
venerdì 9 settembre 2011
Oltre il postmoderno, senza illuminismo
Leggo in questi giorni della proposta di Maurizio Ferraris di abbandonare definitivamente il postmoderno e il pensiero debole in favore di un “nuovo realismo”, che riabiliti le nozioni di verità e di realtà, messe in dubbio dal postmoderno (La Repubblica 08/08/2011). Egli allora propone tre parole chiave: Ontologia, Critica e Illuminismo.
Sulle prime due sono perfettamente d’accordo. Sulla terza, invece, no. Dice Ferraris: “l´Illuminismo richiede ancora oggi una scelta di campo, e una fiducia nell´umanità, nel sapere e nel progresso”. Personalmente ritengo che la critica all’Illuminismo sia ormai un punto irrinunciabile e forse l’unica cosa che mi sento di accettare dal postmoderno. Il quale si è poi arenato nel nichilismo e nell’inettitudine politica e filosofica.
Innanzitutto, la Ragione degli illuministi è una ragione ideologica, che serve a legittimare le leggi, lo stato, le istituzioni, e in generale il modello occidentale, che si baserebbe su questa Ragione e che per questo sarebbe superiore a qualsiasi altro modello. La Ragione illuminista è perciò alla base dei soprusi, del colonialismo, dell’imperialismo e di quella forma mascherata di dominio del capitalismo occidentale che oggi va sotto il nome di “globalizzazione”. Quest’ultima, poi, così come il naturale corso del capitalismo, sarebbe indice di progresso (altro concetto fondante dell’Illuminismo), di sviluppo. Ma dobbiamo renderci conto che questo progresso e sviluppo significa lo sfruttamento dei lavoratori dei paesi meno sviluppati, la devastazione dei loro territori naturali, nonché l’esaurimento delle risorse globali e l’inquinamento indiscriminato della terra.
Sono dei dati scientifici a dimostrarci l’insostenibilità di questo modello di sviluppo: altro che illuminismo! Sappiamo che la popolazione mondiale sta consumando 1,3 pianeti, cioè più di quanto si possa in natura riprodurre; se tutti i paesi giungessero al livello di sviluppo degli Stati Uniti ci sarebbe bisogno di 4 pianeti.
E che fiducia potremo avere nel sapere, se questo è asservito alla logica del profitto e del capitalismo? Ci sono università dove i programmi di studio sono determinati in base alle richieste delle aziende (multinazionali, vedi ad es. il documentario Water makes money), e questo ormai avverrà anche in Italia, perché la Gelmini permetterà a dei privati di entrare negli organi decisionali delle università e perché queste riceveranno fondi da privati ai quali, così, dovranno poi dei “favori”. E’ chiaro che se dei privati, il cui fine è il profitto immediato, entrano nelle università, non saranno interessati ad intraprendere e finanziare progetti di ricerca volti a rendere ecosostenibile lo sviluppo. Questo sistema, con il modello di impresa che promuove, volta all’accrescimento immediato dei profitti nei giri della finanza, non può essere alla base di nessun tipo di progresso. E il sapere che si allinea a questo modello, non è sostenibile.
Piuttosto io propongo, dal mio piccolo di studentello, di riscoprire il modello di Ragione quale ce lo propongono i Greci (e soprattutto Aristotele). La ragione come mezzo individuale di guida della prassi, di orientamento morale, di azione virtuosa. E un sapere che è slegato dagli interessi di dominio, di potere, di progresso indefinito, ma che si rivolge all’essenziale, al vero, al giusto (anche senza idee platoniche, che, anzi, mi sembrano ciò che tra i Greci più è vicino all'Illuminismo). Questi ultimi sono valori negati dal nichilismo postmoderno, e che possono essere riscoperti. Ma non ha nessun senso ripescare l’illuminismo.
Inoltre mi sembra evidente che i potenti sono sempre stati illuministi, non hanno mai messo in dubbio niente, anche mentre tutto intorno gli artisti e i teorici si dichiaravano postmoderni. E’ l’ora dunque di risvegliarsi dal sogno beatifico di un mondo diventato favola dove non esistono verità né realtà. Di rendersi conto che i potenti questo non l’hanno mai creduto e sono andati avanti sulla loro strada stordendo le popolazioni con i divertissement televisivi e mediatici (che non sono stati per nulla emancipatori, come volevano alcuni). La rete internet ora offre nuove e più autentiche potenzialità. Spegnamo le televisioni e rendiamoci conto della realtà, dei suoi fatti.
domenica 4 settembre 2011
Platone vs Aristotele
Anche per Platone i governanti devono essere saggi e virtuosi ed esercitare i frutti della loro sapienza per il bene di tutta la città. Ma Platone ammette la possibilità che i sudditi non siano accondiscendenti verso quest’ordine sociale e che debbano perciò essere persuasi, tramite l’educazione e l’inculcamento ideologico del mito dell’origine, secondo il quale i “custodi” sarebbero tali perché di natura aurea e argentea, mentre i sudditi bronzea e ferrea.
Il potere di chi governa è perciò basato sulla virtù, che però non ha bisogno di essere riconosciuta da tutta la comunità, bensì si esplica nella retta funzione di governo. E' vero che se uno dei governanti si dimostrasse inadeguato al compito, verrebbe declassato, almeno in linea di principio. Ciononostante la prospettiva platonica è, rispetto a quella aristotelica, più vicina ad una mentalità moderna, in base alla quale la rettitudine della Legge non può essere messa in discussione e chi lo fa deve necessariamente essere un barbaro e un ignorante, da persuadere o comunque sottomettere in nome del suo stesso bene. In Aristotele non c’è nessuna forma di violenza simile.
Se Platone ammette che possa essere necessaria la persuasione dei sudditi e, infine, anche l’inganno (nel loro stesso interesse), non ci troviamo forse vicini alla sofistica tanto criticata dal Socrate platonico? Protagora, in nome del suo relativismo, affermava appunto che, per giungere ad un accordo politico, fosse necessaria la persuasione che un gruppo sociale riusciva ad esercitare sugli altri. Certo, vi è una grossa differenza, ed essenziale, in quanto nella prospettiva sofistica non importa la verità o la giustezza del contenuto espresso dal migliore oratore-politico, mentre per Platone ciò di cui va persuasa la parte inferiore della società è qualcosa di retto, di giusto, di buono. Ma richiamando in causa Aristotele, dobbiamo negare che esista un principio così forte e certo, tale da poter essere imposto in maniera davvero giusta a tutta la comunità, senza il consenso dei suoi membri. E tale principio è la giustizia platonica, così come la Legge nella prospettiva statalista moderna.