Chi ritiene la tolleranza un valore, può tollerare l’intollerante? Se sì, allora ritiene che l’intolleranza possa essere un valore tanto quanto la tolleranza; se no, allora è intollerante.
Un democratico può accettare la libertà di espressione dell’antidemocratico (per esempio, del fascista)? Se sì, ritiene che la sua libera espressione sia troppo debole per minare la democrazia, ma se diventasse forte da farlo, allora l’accettazione di questa libertà significherebbe non credere davvero nella democrazia, ma ritenerla una valore tanto quanto la non-democrazia. Se no, allora non è democratico.
In generale, allora, si può affermare di ritenere un valore una certa cosa, a meno del suo contrario. Sono tollerante proprio perché rifiuto l’intolleranza. Occorre fare attenzione a professarsi relativisti: si possono benissimo accettare come valori alcuni principî che non sono contraddittori rispetto ai nostri, ma quando si accetta un principio contraddittorio, allora il nostro valore non è più un valore, e niente ha più valore davvero, né per me, né per nessun altro. Un nichilismo radicale. Mi sembra tuttavia, che sia insostenibile: tutti riteniamo che qualcosa sia meglio (più buono, più giusto, più bello, più utile) di qualcos’altro. Possiamo, a parole, non ammetterlo, ma il nostro comportamento di fatto è sempre indirizzato da alcune credenze.
Posso affermare a parole che per me non esiste nessun valore, eppure ritengo sbagliato lo sterminio nazista degli ebrei. Se non è così, rischio di essere nazista. Un qualche valore ci deve pur essere.
(Queste ultime riflessioni derivano in buona parte della lettura di Diego Marconi, Per la verità, Torino, Einaudi, 2007)
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