
Bettina von Arnim (1785 - 1859), scrittrice, cantante e altro ancora, amica di Goethe, conobbe da vicino Beethoven e il 28 maggio del 1810 scrisse la seguente lettera al poeta, in cui affiorano qualità dell'uomo e del compositore Beethoven.
Vienna, 28 maggio 1810
…E’ Beethoven di cui ti voglio oggi parlare. Quando sono in sua compagnia, io dimentico il mondo e dimentico anche te. Sono, è vero, ancora minorenne; pure so di non sbagliare se affermo, ciò che oggi forse nessuno capirà o vorrà credere, che egli nella sua interiore evoluzione avanza di gran lunga tutta l’umanità, e chissà se mai lo raggiungeremo. Io almeno ne dubito. Purché gli sia concesso di vivere fino a che sarà pienamente maturato in lui il portentoso e sublime mistero che anima il suo genio. Sì, possa egli raggiungere la sua meta sublime, ché certo egli allora ci lascerà in retaggio la chiave d’una conoscenza divina, che ci avvicinerà d’un gradino alla vera beatitudine.
A te posso ben confessarlo: io credo a un divino incanto come a un elemento della natura spirituale. Ora, quest’incanto Beethoven l’esercita con l’arte sua. Quand’egli ne parla, ne parla come d’un’arte magica. E invero in lui si va organizzando un’esistenza superiore, egli sente di essere il creatore d’una nuova base sensibile della vita dello Spirito. Spero che tu comprenderai ciò che voglio dire. Chi potrebbe sostituirci il suo genio? O da chi potremmo noi aspettarci un’opera che eguagli la sua? – Tutta la vita umana si svolge in lui come nel meccanismo d’un orologio, lui solo produce da se stesso l’imprevedibile, l’increato. E che potrebbe dare a lui il mondo, a lui, che prima del sorger del sole dà principio al suo sacro travaglio e quando è tramontato, appena si guarda intorno, a lui, che dimentica il cibo, e rapito nell’empito dell’entusiasmo, sorvola leggero sulla volgarità cotidiana?...
Egli ha tre abitazioni e si nasconde ora nell’una, ora nell’altra: la prima in campagna, la seconda in città, la terza sulla Mölkerbastei. Qui lo trovai, al terzo piano. Entrai senza farmi annunciare. Sedeva al piano. Gli dissi il mio nome ed egli mi accolse gentilmente e mi chiese se volevo sentire una canzone che aveva appunto composto. – Cantò allora, con voce ferma e incisiva, in modo da comunicare a chi l’ascoltava la profonda mestizia del canto, la canzone di Mignon. «E’ bella, non è vero?», mi domandò con calore, «è tanto bella! La voglio cantare ancora una volta». Gli fece grande piacere il mio giocondo applauso. «La maggior parte della gente,» osservò, «si commuove quando sente una bella canzone, ma son quelli che non hanno attitudini artistiche; gli artisti s’entusiasmano, non piangono.» Cantò poi un’altra tua canzone, che pure ha composto in questi giorni: «Non v’asciugate, non v’asciugate, soavi lagrime, da amor sgorgate.»
M’accompagnò a casa, e strada facendo mi disse cose meravigliose sull’arte. A starlo ad ascoltare ci voleva coraggio, perché parlava a voce alta e ogni tanto si fermava. Parlava con passione e diceva cose così sorprendenti che arrivai alla mia abitazione senz’accorgermene. C’era da noi a pranzo molta gente e fu grande la sorpresa quando ci videro entrare insieme. Dopo il pranzo si sedette al piano e sonò a lungo, meravigliosamente… Ci vediamo ogni giorno: o viene lui da noi, o vado io in casa sua. Per goder della sua compagnia, trascuro ogni altra cosa; la società, le gallerie, il teatro, lo stesso campanile di S. Stefano non hanno più attrattive per me. «Che vuol mai vedere lassù?» m’ha detto Beethoven. «Verrò a prenderla verso sera e faremo piuttosto insieme una passeggiata nei viali di Schönbrunn».
Ieri sono stata con lui in un magnifico giardino. Tutto era in fiore, le serre aperte, il profumo inebriante. Beethoven si fermò al sole, benché facesse un gran caldo, e mi disse: «Le poesie di Goethe esercitano un grande fascino su di me, non solo per il contenuto, ma anche per il ritmo. Quella sua lingua meravigliosa, che quasi scala di Giacobbe ci guida a un’esistenza superioree racchiude già in sé il segreto delle più sublimi armonie, mi rapisce in un’atmosfera musicale, per cui la composizione ne viene spontanea. Dal centro dell’ispirazione l’onda melodica si diffonde libera in tutte le direzioni. Io la seguo, la rincorro con ardore. Essa mi fugge dinanzi e scompare nell’intreccio dei motivi più diversi. Ma ben presto la riafferro con rinnovato ardore per non staccarmene più, e rapito nel giubilo della creazione ne centuplico le modulazioni, finché da ultimo l’originario pensiero musicale trionfante si riafferma in tutta la sua pienezza. E’ così che nasce una sinfonia. Sì, la musica è la mediatrice tra la vita dei sensi e quella dello spirito. Vorrei parlare di quest’argomento con Goethe; forse lui mi comprenderebbe. La melodia è la vita sensibile della poesia. Non è forse la melodia che attraverso la percezione dei sensi comunica al nostro sentimento la sostanza spirituale d’una poesia? Così nella canzone di Mignon tu senti, espresso nella melodia, tutto l’abbandono di quell’anima all’onda delle sensazioni e dei ricordi. E da questo sentimento rampollano sempre nuove creazioni melodiche. Lo spirito tende ad allargarsi fino ad abbracciare l’infinito, l’universale, fino ad accogliere e ad esprimere in un organismo complesso la fiumana dei sentimenti, che, nati da un semplice pensiero musicale, rimarrebbero altrimenti per sempre inespressi, ignorati. Quest’è l’armonia, questo è il significato delle mie sinfonie. Un’onda di motivi, di forme ricche, lussureggianti liberamente si svolge fino a raggiungere la meta. Nulla meglio della musica ti dà la sensazione che ogni opera dello spirito contiene in sé alcunché d’eterno, d’infinito, d’inafferrabile, e benché il produrre sia sempre accompagnato in me dal sentimento della riuscita, pure mi struggo nell’insaziabile brama di ricominciare, come un bambino, daccapo, ciò che mi sembrava interamente compiuto con l’ultima battuta, con la quale avevo cercato d’imprimere indelebilmente nell’animo degli uditori la mia convinzione musicale, il mio gaudio supremo. Parli a Goethe di me e gli dica che ascolti le mie sinfonie; allora certamente converrà meco nell’affermare che la musica sola può schiuderci col suo linguaggio incorporeo le porte d’un mondo superiore di conoscenza, di cui l’uomo è, sì, parte, ma che egli non riuscirà mai a esplorare interamente…»
Gli promisi di scriverti tutto quanto aveva detto, così come l’avevo potuto capire. Mi condusse a una prova con piena orchestra… Qui vidi come questo genio titanico domina da sovrano il suo mondo. Ti dico che nessun re e nessun imperatore è così compreso del suo potere, nessuno come lui ha la sicura coscienza che tutta l’energia parte da lui solo…
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