domenica 20 gennaio 2008

Il Papa alla Sapienza

Vorrei anche io dire la mia sulla questione del Papa alla Sapienza.
Ho letto il comunicato stampa proposto dai GC di Cuneo: permettetemi di dissentire su alcuni punti e di presentarvi quindi il mio pensiero a riguardo.
La Chiesa ha molti difetti e non posso che essere d'accordo sulla questione franchisti, sulle coppie omosessuali, ecc. però vorrei che la lotta per la laicità, senza dubbio importantissima, non si trasformi in un anticlericalismo di cattivo gusto e, soprattutto, fine a se stesso, se non nefasto.
La manifestazione che ha impedito, o meglio, che ha fatto decidere al Papa di non accettare l'invito, è stata da una parte positiva, ma non lodiamola troppo considerandola scorrettamente. E' stata buona perché ognuno ha il diritto di esprimere il proprio dissenso e si è arrivati ad un risultato, cosa che non sempre capita. Ma l'impedire al Papa di tenere un discorso non capisco che motivo possa avere: laicità non significa per forza ateismo o non-cristianesimo. Io credo che se fosse stato invitato un esponente di un'altra religione, tutti l'avrebbero accettato e sentito con interesse. Ma il Papa no. Va bene, ha detto tante cazzate, e si può non essere d'accordo con quello che dice, ma che importa? E' decisamente meglio lasciarlo parlare che impedirglielo, facendolo apparire come vittima dell'intolleranza. Anche se l'intolleranza non è nostra, ma sua, e su questo sono del tutto d'accordo, egli è apparso praticamente a tutti dalla parte della ragione e si è scatenata una serie di incontri, preghiere collettive e cose simili da far ridere, ma che non porta certo la gente dalla nostra parte. Si badi bene che non sto parlando di una questione meramente numerica o politica, ma morale: è giusto che un uomo religioso e di cultura, chiunque esso sia, abbia il diritto di dire ciò che pensa. E se ciò che pensa lo vuole forzatamente far passare per verità, pazienza: se noi siamo convinti di una verità diversa dalla sua, non ci faremo imbambolare e al massimo fonderemo maggiormente le nostre convinzioni.

domenica 13 gennaio 2008

Alessandro Bergonzoni - Le balene restino sedute


Venerdì pomeriggio eravamo cinque ciccisbei\ee nel cortile della biblioteca civica, con in mano "Le balene restino sedute" di Alessandro Bergonzoni, a leggere un racconto a testa, e poi ancora uno. Che razza di libro è? Beh, è un libro esilarante, senza senso, tremendamente comico e assurdo al contempo. Davvero uno spasso... vi consiglio di leggerlo!

Le balene restino sedute
"il manifesto", 12 dicembre 1989

Un comico si aggira per l’Italia. Non fa la parodia dell’universo televisivo e non si diverte a scimmiottare la pubblicità Non ride/piange sulle miserie della generazione dei trentenni. Non fa satira di costume né sociologia spicciola. Ignora le macchiette dialettali, anche se viene chiaramente da Bologna. Non prende in giro la gobba di Andreotti né le palle di Craxi. Insomma, è un comico eccentrico, in un’Italia che sembra popolata di nuovi comici e aspiranti reduci di Drive In.

Eppure, ciononostante, Alessandro Bergonzoni fa ridere, per ore intere, come è accaduto al Ciak di Milano, dove ha debuttato il suo nuovo spettacolo, Le balene restino sedute (edito anche in formato libro da Mondadori). Quella di Bergonzoni è una comicità fatta soltanto di parole. È un attrezzo che smonta e scardina il linguaggio per atterrare in mondi surreali e inattesi. Una macchina che crea in continuazione paesaggi sconclusionati, abitati da personaggi adorabili e fantastici oppure sanguinari e sconvolgenti.

Quando si lascia sfuggire un accenno ai suoi "padri spirituali", Bergonzoni cita il Burchiello – ovvero Domenico di Giovanni, barbiere e poeta del Quattrocento, cui perfino le antologie scolastiche dedicano qualche riga: ed è il piacere dell’eversione linguistica, dell’invenzione sorprendente e gratuita, degli accoppiamenti poco giudiziosi. E cita anche i fratelli Marx: per il ritmo incalzante, per la torrenziale sarabanda di schegge di follia che sbalordisce e stordisce gli spettatori.

Perché in questa partita, tutti i mezzi sono buoni per sorprendere, dal sublime al banale dal trionfo della stupidità ("Fermò un camion di rane e si fece portare da una di loro a Vigevano dove c’erano certe leggi che adesso non ci sono più") al lampo di genio ("Quando il sogno finì, Ivan pensò a cosa avrebbe detto Freud se fosse stato ancora vivo. Probabilmente avrebbe detto: "Però, sono un bel po’ longevo").

Quelle applicate da Bergonzoni nella creazione delle sue surrealtà sono grammatica, sintassi, logica e buonsenso trionfalmente ribaltati. A cominciare dal gusto privato di spezzare le associazioni giudiziose ("gli Assiri, una volta tanto finalmente senza i Babilonesi, che quel giorno erano malati") o di far esplodere elenchi e classificazioni ("era comunque una femmina tutta casa, chiesa, scuola, lattaio, fornaio, droghiere, cartolaio, e poi di nuovo casa, quindi non stava fuori sempre"). Oppure lascia fantasticare di scienze immaginarie (fonte principale, la fantomatica "Enciclopedia del quieto vivere"), s’inventa giochi da Oulipo, come un mondo senza P (abitato da "Latone, Aeron de’ Aeroni, Aa Giovanni eccetera").

Disfa frasi fatte ("un bel dì, che viene dopo il bell’a, il bel bi e il bel ci"), partecipa nel suo furore tassonomico a olimpiadi dell’assurdo: "gare di statura, movimento terra, rotazione pianeti, sollevamento coperchi per buoni diavoli, corsi di roccia sui pattini, gare di morsi e rimorsi, gatta buia, gare di saluti e commiati, corsa sugli ombrelli (tra l’altro dolorosissima)..." e così via), rende omaggio ai grandi del passato ("Guglielmo Manzoni, inventore dei Promessi Sposi per radio"), si lancia in attacchi folgoranti ("Quel mattino il sole era alto e i sette nani invidiosissimi come al solito").

Rigorosamente sconclusionata e allegramente crudele, percorsa da inevitabili e matematici istinti omicidi, la comicità di Bergonzoni si nutre della possibilità di creare infiniti universi paralleli, tutti ugualmente sconclusionati autarchici. Attraverso lo scontro tra le regole del mondo quelle del linguaggio, tiene accesa la scintilla di una eterna e gratuita ribellione. Da queste imprevedibili provocazioni enigmistiche, da questi intensi e poetici (e poco giudiziosi) accoppiamenti immagini nasca la carica liberatoria dei suoi spettacoli.

Desiderio plays Domeniconi

Pubblico qua questo video del grande chitarrista Aniello Desiderio. Fa spavento questa esecuzione.

www.aniellodesiderio.com


mercoledì 2 gennaio 2008

Buon 2008

A tutti\e auguro un buon 2008.

Spero lo sia anche per me. Non che il 2007 sia stato brutto, anzi, però c'è sempre qualcosa che potrebbe andare meglio, in ogni momento e dunque la speranza non è mai vana.

Ciao

Platone, La Repubblica (Libro VIII)


Ciao,
sto leggendo La Repubblica e sono arrivato al punto che fino ad ora mi è semrato tra i più interessanti tra quelli trattati nell'opera: il Libro VIII, specialmente dove analizza la Democrazia e l'uomo democratico. Egli non era favorevole alla democrazia e in tutta l'opera delinea uno stato ideale nel quale possa regnare la vera giustizia, sotto il governo di filosofi in ricerca del bello e del bene assoluti.

Vi riporto quindi qualcosa dal libro VIII (le note tra parentesi sono mie)

(Socrate:) -Ora, in primo luogo, non sono liberi (gli individui di uno stato democratico)? e lo stato non diventa libero e non vi regna libertà di parola? e non v'è licenza di fare ciò che si vuole?
(Glaucone:) - Sì, rispose, almeno lo si dice.
-Ma dov'è questa licenza, è chiaro che ciascuno può organizzarvisi un suo particolare modo di vita, quello che a ciascuno più piace.

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(Socrate:) - (...) E se i suoi famigliari tentano di dare qualche aiuto alla parte parsimoniosa dell'anima sua (dell'individuo democratico), quei discorsi ciarlataneschi non sbarrano le porte del regale castello in lui, senza lasciar passare quell'alleanza stessa e senza accogliere come ambasciatori i discorsi di privati più anziani? e non vincono loro la battaglia? e non cacciano in disonorevole esilio il pudore chiamandolo dabbenaggine, e non espellono la temperanza dicendola viltà e coprendola di improperi? e, sostenuti da molti e vani appetiti, non mettono al bando la moderazione e lo spendere modico facendoli passare per rusticità e grettezza?
(G:)- Proprio così.
-E quando hanno vuotato e purificato di tutto ciò l'anima di colui su cui dominano e che iniziano a grandi mistici riti, eccoli sùbito dopo ricondurre con imponente corteo, risplendenti e coronate, la tracotanza, l'anarchia, la sregolatezza e l'impudenza; e le esaltano con belle parole, chiamando la tracotanza buona educazione, l'anarchia libertà, la sregolatezza magnificenza, l'impudenza coraggio. (...)

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(S:) - (...) se gli si dice (all'uomo domocratico) che alcuni piaceri sono propri degli appetiti nobili e buoni, e altri di quelli malvagi, e che bisogna coltivare e onorare i primi, ma reprime e soggiogare e i secondi, in tutti questi casi fa segno di no e dice che tutti i piaceri sono simili e meritevoli di eguale onore.

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(S:) - Ora, a distruggere la democrazia, non è pure l'insaziabilità di ciò che essa definisce un bene?
(G:) - Secondo te, che cosa definisce così?
-La libertà, risposi. In uno stato democratico sentirai dire che la libertà è il bene migliore e che soltanto colà dovrebbe perciò abitare ogni spirito naturalmente libero.

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(S:) - Ora, ripresi, non pensi quanto l'anima dei cittadini si lasci impressionare dal sommarsi di tutte queste circostanze (eccessi di libertà) insieme raccolte, al punto che uno, se gli si prospetta anche la minima schiavitù, si sdegna e non la tollera? E tu sai che finiscono con il trascurare del tutto le leggi scritte o non scritte, per essere assolutamente senza padroni.

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(S:) - (...) a mio avviso, dalla somma libertà viene la schiavitù maggiore e più feroce.

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(S:) - L'eccessiva libertà, sembra, non può trasformarsi che in eccessiva schiavitù, per un privato come per uno stato.


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Parole sante.

Ciao