domenica 7 luglio 2013

La legge naturale della reciprocità (Agostino)

1. [vv 1.2.] Le parole che abbiamo cantate, ritengo essere nostro dovere ascoltarle più che non ripeterle ad alta voce. La verità grida a tutti, al genere umano riunito, per così dire, in assemblea: Se davvero voi parlate di giustizia, giudicate rettamente, o figli degli uomini. Quale ingiusto, infatti, non è capace di parlare - e con facilità! - della giustizia? E chi, interrogato sulla giustizia, quando lui non entra direttamente in causa, non saprà con facilità darne la definizione? Poiché la verità ha scolpito nei nostri cuori, per la mano stessa del Creatore, il principio: Ciò che non vuoi sia fatto a te, non farlo agli altri (1)Anessuno fu mai permesso di ignorare questo comandamento, anche prima che fosse data la legge, in modo che potessero esser giudicati anche coloro che non avrebbero avuto la legge. Ma, affinché gli uomini non si lamentassero che mancava loro qualcosa, fu scritto sulle tavole ciò che essi non riuscivano a leggere nel proprio cuore. Non è vero, infatti, che essi non avessero in cuore alcuna legge scritta; solo che si rifiutavano di leggerla. Fu allora posto dinanzi ai loro occhi ciò che avrebbero dovuto vedere nella coscienza; e l'uomo fu spinto a guardare nel suo intimo dalla voce di Dio, proveniente, per così dire, dal di fuori. Come dice la Scrittura: Sui pensieri degli empi sarà fatto un interrogatorio (2)E dove c'è interrogatorio ci deve essere anche la legge. Ma, poiché gli uomini, anelanti alle cose esteriori, erano divenuti degli estranei anche a se stessi, fu data loro per giunta una legge scritta. Non perché non fosse già scritta nei loro cuori, ma perché tu eri fuggito dal tuo cuore, e colui che è ovunque voleva recuperarti e costringerti a ritornare in te stesso. E cosa grida, la legge scritta, a quanti si sono distaccati dalla legge impressa nei loro cuori (3)Tornate, prevaricatori, al cuore (4)Chi, infatti, ti ha insegnato a non volere che un altro stia con la tua sposa? Chi ti ha insegnato a non voler essere derubato? Chi ti ha insegnato a non voler subire ingiuria, e così via, per tante altre cose, in generale o in particolare? Per molte cose, infatti, gli uomini, se interrogati su ciascuna di esse, risponderebbero senza esitazione di non volerle subire. Va bene! È giusto che tu non voglia subire queste ingiurie; ma vivi forse solo? Non vivi, forse, nel consorzio del genere umano? Colui che è stato creato insieme con te è uguale a te; e tutti siamo stati fatti a immagine di Dio, a meno che non polverizziamo ciò che egli ha formato, abbandonandoci a cupidige terrene. Orbene: Quanto non vuoi sia fatto a te, non farlo ad altri. Tu giudichi essere un male tutto ciò che non vuoi subire; e a riconoscere questo ti costringe una legge intima, scritta nel tuo cuore. Tu operavi il male e l'oppresso gridava tra le tue mani. Come non sentirti obbligato a tornare al tuo cuore, se ti dispiace subire la stessa ingiuria per mano altrui? Sarà cosa buona il furto? No. Io domando: Sarà cosa buona l'adulterio? Tutti gridano: No. Buona cosa, l'omicidio? Tutti dichiarano di detestarlo. Desiderare le cose altrui sarà un bene? No, risponde la voce di tutti. Oppure, se ancora non è questa la tua risposta, fa' che ti si avvicini uno intenzionato di toglierti ciò che è tuo. Ne saresti contento? Rispondi ciò che vorresti. Tutti, dunque, interrogati su tali argomenti, dichiarano che nessuna deviazione morale può essere cosa buona. Lo stesso quando si viene interrogati sulle opere buone: non sulle colpe che occorre evitare, ma su ciò che si è obbligati a dare o a restituire. Ragioniamo con uno che ha fame e diciamogli: " Ecco tu soffri la fame. Quell'altro invece possiede il pane, ne ha in abbondanza, in misura più che sufficiente: egli sa che tu ne hai bisogno e non te lo dà ". Se sei affamato, tutto ciò ti dispiace. Ebbene, un tale comportamento ti dispiaccia anche quando tu sei sazio, se saprai che un altro ha fame. Viene al tuo paese un pellegrino bisognoso di un tetto, e nessuno lo ospita. Costui allora si metterà a gridare che una tale città è disumana, e che è più facile trovare rifugio presso i barbari. Sente l'ingiustizia perché lo tocca direttamente. Tu invece non la senti, forse, con altrettanta forza. Immaginati, però, di essere tu stesso quel pellegrino e vedi un po' come ti dispiacerebbe che non ti fosse offerto l'alloggio: quell'alloggio che tu, nella tua patria, ricusi di offrire al pellegrino! Chiedo a tutti: " Sono vere queste cose "? " Sono vere ". " Sono giuste queste cose "? " Sono giuste ".

2. Ma ascoltate il salmo: Se davvero voi parlate di giustizia, giudicate rettamente, figli degli uomini. Non sia la tua giustizia di sole parole; sia una giustizia di opere: poiché, se tu agisci diversamente da come parli, potrai parlare bene, ma giudicherai male. Come potresti, infatti, giudicare secondo giustizia se agirai male? Ecco: ti si domanda cosa sia meglio, l'oro o la fede. Se tu non sei del tutto perverso e lontano dalla verità, non risponderai che è meglio l'oro, ma anteporrai la fede all'oro. Va bene! Hai parlato secondo giustizia. Hai sentito, però, il salmo? Se davvero voi parlate di giustizia, giudicate rettamente, figli degli uomini. E in qual modo proverò che tu non giudichi in conformità con le tue parole? Ho già la tua risposta, in cui si antepone la fede all'oro. Ecco però che viene da non so dove, un amico che ti affida dell'oro. Non c'è alcun testimone: lo sapete solo lui e tu, per quanto si riferisce agli uomini (c'è sempre, infatti, un altro testimone che non è visto e vede). Ti si consegna, dunque, l'oro in gran segreto, nella tua stanza, lontano da qualsiasi occhio (quell'altro testimone non è visibilmente nella stanza; è nel segreto delle vostre coscienze!). E poi, un bel giorno, l'amico che ti ha affidato la sua ricchezza senza farlo sapere a nessuno dei suoi, se ne va, sperando di tornare e di riavere dall'amico ciò che gli aveva consegnato. Ma, come accade nelle cose umane, egli muore durante il viaggio, lasciando un erede, un figlio: il quale figlio nulla sa degli averi del padre, né di ciò che aveva depositato presso di te. Ebbene, tu prevaricatore, torna, torna al cuore, ove è scritta la legge: Ciò che non vuoi sia fatto a te, non farlo agli altri. Immagina di essere tu colui che ha consegnato l'oro all'amico, senza averne parlato con nessuno dei tuoi; immagina di essere morto, e di aver lasciato un figlio. Che cosa vorresti che il tuo amico desse a tuo figlio? Rispondi, giudica la causa! Nella tua mente c'è il tribunale del Giudice. Ivi siede Dio, è presente la coscienza in funzione di accusatrice; a torturarti c'è il timore. Si tratta, come vedi, di problemi umani, di fatti che succedono nella società umana a cui tu appartieni. Pensa che cosa vorresti che il tuo amico desse a tuo figlio. So che cosa ti risponderà la tua coscienza: ebbene, giudica come ascolti. Giudica! La voce non mancherà: dico la voce della verità, la quale non tace e, anche se non muove le labbra, ti griderà certo nel cuore. Porgi l'orecchio; e stattene lì entro il tuo cuore, presente il figlio del tuo amico. Lo vedrai, forse, andare ramingo e languire nell'indigenza. Egli non sa nulla del capitale che suo padre aveva; non sa dove lo abbia depositato né a chi lo abbia affidato. Immagina che questo tale sia tuo figlio; ovvero, immagina che viva colui che da morto disprezzi. Pensa alla morte per conseguire tu stesso la vita. Ma l'avarizia impone tutt'altra condotta: essa comanda contro Dio. Dio dice una cosa, un'altra ne dice l'avarizia. Una cosa diceva nel paradiso il nostro Creatore, un'altra ne diceva il serpente entrato di straforo a sedurre. Ti torni in mente la tua prima caduta: quella triste vicenda per cui sei mortale e soggetto alla fatica; per la quale mangi il pane col sudore del tuo volto e la terra ti genera spine e triboli (5). Impara da questa vicenda di vita vissuta ciò che ricusi d'imparare attraverso il comandamento. Ma vedo vincere la cupidigia. Perché non vince, piuttosto, la verità? E dove sono le parole che dicevi? Ecco, tu mediti di non restituire l'oro, pensi di nascondere il denaro all'erede del tuo amico. Poco fa ti avevo chiesto che cosa fosse più pregevole, che cosa fosse meglio, l'oro o la fede. Perché dici una cosa e ne fai un'altra? Non temi questa voce: Se davvero voi parlate di giustizia, giudicate rettamente, figli degli uomini?Eccotu mi hai detto che la fede è migliore, e, invece, nel tuo giudizio hai ritenuto più pregevole l'oro. Non hai giudicato come hai parlato: hai detto il vero e hai giudicato il falso. Dunque, anche quando parlavi di giustizia, non dicevi la verità. Se davvero voi parlate di giustizia, giudicate rettamente, figli degli uomini.Quando mi rispondevi sulla giustizia, parlavi arrossendo, non confessando.

1 - Tb 4, 16; Mt 7, 12.
2 - Sap 1, 9.
3 - Cf. R m 2, 15.
4 - Is 46. 8.
5 - Cf. Gn 3, 17 18.


tratto da Agostino, Esposizione sul Salmo 57.

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lunedì 1 luglio 2013

Antitesi (Adorno)

Antitesi. Chi non collabora corre il pericolo di credersi migliore degli altri e di fare della propria critica della società una ideologia al servizio del proprio interesse privato. Mentre cerca di fare della propria esistenza una fragile immagine della vera, egli dovrebbe sempre tener presente questa fragilità, e sapere quanto poco l'immagine sostituisce la vera vita. A questo riconoscimento contrasta la forza irresistibile dell'elemento borghese in lui. Chi si tiene in disparte non è meno invischiato dell'attivo e affaccendato: nei cui confronti non ha che il vantaggio di conoscere il proprio irretimento e la felicità di quel tanto di libertà che è insito nel conoscere come tale. La propria distanza dal business è un lusso che il business rende possibile. Perciò ogni sforzo di sottrarsi reca i tratti di ciò che è negato. La freddezza a cui non può non dar luogo non è dissimile dalla freddezza borghese. Nel principio monadologico, anche dove protesta, è sempre implicito l'universale dominante. (…) La sottomissione della vita al processo della produzione impone a ciascuno – con costrizione umiliante – qualcosa dell'isolamento e della solitudine che siamo tentati di considerare come l'oggetto della nostra scelta superiore. È sempre stato un elemento costitutivo dell'ideologia borghese, che ogni singolo individuo, nel suo interesse particolare, si ritiene migliore di tutti gli altri, mentre mette sopra di sé gli altri, in quanto comunità di tutti i clienti. Dopo l'abdicazione della vecchia borghesia, l'uno e l'altro atteggiamento sopravvivono nello spirito degli intellettuali, che sono gli ultimi nemici dei borghesi e, nello stesso tempo, gli ultimi borghesi. In quanto si concedono ancora il lusso del pensiero contro la nuda riproduzione dell'esistenza, si comportano come privilegiati; arrestandosi al pensiero, dichiarano la nullità del loro privilegio. L'esistenza privata, che aspira a somigliare all'esistenza degna dell'uomo, tradisce quest'ultima, in quanto la somiglianza è sottratta alla realizzazione universale, che pure ha bisogno, oggi più che mai, della riflessione indipendente. Non c'è via d'uscita da questo irretimento. Il solo atteggiamento responsabile è quello di vietarsi l'abuso ideologico della propria esistenza, e – per il resto – condursi, nella vita privata, con la modestia e la mancanza di pretese a cui ci obbliga, da tempo, non più la buona educazione, ma la vergogna di possedere ancora, nell'inferno, l'aria per respirare.

Theodor W. Adorno, Minima moralia, 6.