giovedì 5 agosto 2010

Il tempo spettacolare

Il tempo spettacolare*

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Il tempo della produzione, il tempo-merce, è una accumula­zione infinita di intervalli equivalenti. È l’astrazione del tempo irreversibile, di cui tutti i segmenti devono provare sul cronometro la loro sola uguaglianza quantitativa. Que­sto tempo è, in tutta la sua realtà effettiva, ciò che esso è nel suo carattere scambiabile. È in questo dominio sociale del tempo-merce che «il tempo è tutto, l’uomo non è niente; egli è tutt’al più l’incarnazione del tempo» (Miseria della filosofia). È il tempo svalorizzato, la completa inversione del tempo come «campo di sviluppo umano».


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Il tempo generale del non-sviluppo umano esiste anche sotto l’aspetto complementare di un tempo consumabile che ritorna verso la vita quotidiana della società, a partire da questa produ­zione determinata, come un tempo pseudo-ciclico.


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Il tempo pseudo-ciclico non è in realtà che il travestimento consumabile del tempo-merce della produzione. Esso ne contiene i caratteri essenziali di unità omogenee scambiabili e di soppressione della dimensione qualitativa. Ma poiché il sottoprodotto di questo tempo è destinato all’arretratezza della vita quotidiana concreta – e al mantenimento di questa arretratezza – deve essere caricato di pseudo-valorizzazioni e apparire in una successione di momenti falsamente indi­vidualizzati.


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Il tempo pseudo-ciclico è quello del consumo della soprav­vivenza economica moderna, la sopravvivenza aumentata, dove il vissuto quotidiano resta privato di decisione e sot­tomesso, non più all’ordine naturale, ma alla pseudo-natura sviluppata nel lavoro alienato; e così questo tempo ritrova del tutto naturalmente il vecchio ritmo ciclico che rego­lava la sopravvivenza delle società pre-industriali. Il tempo pseudo-ciclico poggia sulle tracce naturali del tempo ci­clico, e contemporaneamente ne compone nuove combina­zioni omologhe: il giorno e la notte, il lavoro e il riposo settimanale, il ritorno dei periodi di vacanze.


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Il tempo pseudo-ciclico è un tempo che è stato trasformato dall’industria. Il tempo che ha la sua base nella produzione delle merci è esso stesso una merce consumabile, che rac­coglie tutto ciò che precedentemente si era differenziato, all’epoca della fase di dissoluzione della vecchia società unitaria, in vita privata, vita economica, vita politica. Tutto il tempo consumabile della società moderna viene a essere trattato come materia prima di nuovi prodotti diversificati che si impongono sul mercato come impieghi del tempo so­cialmente organizzati. «Un prodotto che esista in forma fi­nita e pronta per il consumo può tornare a divenire materia prima di un altro prodotto.» (Il Capitale)


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Nel suo settore più avanzato, il capitalismo concentrato si orienta verso la vendita di blocchi di tempo “tutto organiz­zato”, ognuno dei quali costituisce una sola merce unificata, che ha incorporato un certo numero di merci diverse. È così che può comparire, nell’economia in espansione dei “ser­vizi” e del tempo libero, la formula di pagamento “tutto compreso”, per l’insediamento spettacolare, gli pseudo-spo­stamenti collettivi delle vacanze, l’abbonamento al con­sumo culturale, e la vendita della sociabilità stessa in “con­versazioni appassionanti” e “incontri con personalità”. Que­sto genere di merce spettacolare, che evidentemente non può aver corso se non in funzione della penuria accresciuta delle realtà corrispondenti, figura altrettanto evidentemente tra gli articoli-pilota della modernizzazione delle vendite, essendo pagabile a credito.


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Il tempo pseudo-ciclico consumabile è il tempo spettaco­lare, contemporaneamente come tempo del consumo delle immagini, nel senso stretto del termine, e come immagine del consumo del tempo, in tutta la sua estensione. Il tempo del consumo delle immagini, medium di tutte le merci, è in­separabilmente il campo dove si esercitano appieno gli strumenti dello spettacolo, e il fine che questi presentano globalmente, come luogo e come figura centrale di tutti i consumi particolari: si sa che i risparmi di tempo costante­mente ricercati dalla società moderna – che si tratti della velocità dei trasporti o dell’uso delle minestre in polvere – si traducono positivamente per la popolazione degli Stati Uniti nel fatto che la contemplazione della televisione le occupa da sola da tre a sei ore al giorno di media. L’imma-gine sociale del consumo del tempo, da parte sua, è domi­nata esclusivamente dai momenti di tempo libero e di va­canze, momenti rappresentati a distanza e desiderabili per postulato, come ogni merce spettacolare. Questa merce viene qui esplicitamente data come il momento della vita reale, di cui si tratta di attendere il ritorno ciclico. Ma in questi stessi momenti assegnati alla vita, è ancora lo spetta­colo che si dà da vedere e da riprodurre, raggiungendo un grado più intenso. Ciò che è stato rappresentato come la vita reale si rivela semplicemente come la vita più real­mente spettacolare.


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Quest’epoca che mostra a sé stessa il suo tempo come un tempo che è essenzialmente il ritorno precipitoso di un gran numero di festività, è lo stesso un’epoca senza festa. Ciò che, nel tempo ciclico, era il momento della partecipazione di una comunità alla spesa lussuosa della vita, è impossibile per la società senza comunità e senza lusso. Quando le sue pseudo-feste volgarizzate, parodie del dialogo e del dono, spingono a un supplemento di spesa economica, non ricon­ducono che la delusione sempre compensata dalla promessa di una delusione nuova. Nello spettacolo, il tempo della so­pravvivenza moderna deve lodarsi tanto più apertamente quanto più si è ridotto il suo valore d’uso. La realtà del tempo è stata sostituita dalla pubblicità del tempo.


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Mentre il consumo del tempo ciclico delle società antiche era in accordo con il lavoro reale di quelle società, il con­sumo pseudo-ciclico dell’economia sviluppata si trova in contraddizione con il tempo irreversibile astratto della sua produzione. Mentre il tempo ciclico era il tempo dell’illu-sione immobile, vissuto realmente, il tempo spettacolare è il tempo della realtà che si trasforma, vissuto illusoriamente.


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Ciò che è sempre nuovo nel processo della produzione delle cose non si ritrova nel consumo, che rimane il ritorno allar­gato dello stesso. Poiché il lavoro morto continua a domi­nare il lavoro vivente, nel tempo spettacolare il passato do­mina il presente.


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Come altro lato della deficienza della vita storica generale, la vita individuale non ha ancora storia. Gli pseudo-avve­nimenti che si affollano nella drammatizzazione spettaco­lare non sono stati vissuti da coloro che ne sono informati; e inoltre si perdono nell’inflazione della loro sostituzione precipitosa, a ogni pulsione del macchinario spettacolare. D’altra parte, ciò che è stato realmente vissuto è senza rela­zione con il tempo irreversibile ufficiale della società, e in opposizione diretta col ritmo pseudo-ciclico del sottopro­dotto consumabile di questo tempo. Questo vissuto indivi­duale della vita quotidiana separata resta senza linguaggio, senza concetto, senza accesso critico al proprio passato che non è registrato da nessuna parte. Esso non si comunica. È incompreso e dimenticato a vantaggio della falsa memoria spettacolare del non-memorabile.


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Lo spettacolo, come organizzazione sociale presente della paralisi della storia e della memoria, dell’abbandono della storia che si erige sulla base del tempo storico, è la falsa coscienza del tempo.


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La condizione preliminare per portare i lavoratori alle con­dizioni di produttori e consumatori “liberi” del tempo-merce è stata l’espropriazione violenta del loro tempo. Il ritorno spettacolare del tempo è divenuto possibile solo a partire da questo primo spossessamento del produttore.


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Le parti irriducibilmente biologiche che restano presenti nel lavoro, sia nella dipendenza dal ciclo naturale della veglia e del sonno che nell’evidenza del tempo irreversibile indivi­duale dell’usura di una vita, non sono che accessorie ri­spetto alla produzione moderna; e come tali questi elementi vengono trascurati nelle proclamazioni ufficiali del movi­mento della produzione, e dei trofei consumabili che sono la traduzione accessibile di questa incessante vittoria. Im­mobilizzata nel centro falsificato del movimento del suo mondo, la coscienza spettatrice non conosce più nella sua vita un passaggio verso la sua realizzazione e verso la sua morte. Chi ha rinunciato a spendere la propria vita non deve più ammettere la propria morte. La pubblicità delle assicu­razioni sulla vita insinua soltanto che è colpevole morire senza aver assicurato la regolazione del sistema dopo que­sta perdita economica; e quella dell’american way of death insiste sulla propria capacità di conservare in questo fran­gente la maggior parte delle parvenze della vita. Su tutto il resto del fronte dei bombardamenti pubblicitari, è categori­camente proibito invecchiare. Si tratterebbe di ammini­strare, in ciascuno, un “capitale-gioventù” che tuttavia, per non essere stato impiegato che mediocremente, non può pretendere di acquistare la realtà durevole e cumulativa del capitale finanziario. Questa assenza sociale della morte è identica all’assenza sociale della vita.


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Il tempo è l’alienazione necessaria, come Hegel dimostrava, il terreno dove il soggetto si realizza perdendosi, diviene altro per divenire la verità di sé stesso. Ma il suo contrario è preci­samente l’alienazione dominante, che è subita dal produttore di un presente estraneo. In questa alienazione spaziale, la società che separa alla radice il soggetto e l’attività che gli sottrae, lo separa innanzi tutto dal suo tempo. L’alienazione sociale superabile è proprio quella che ha interdetto e pietrifi­cato le possibilità e i rischi dell’alienazione vivente nel tempo.


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Sotto le mode apparenti che si annullano e si ricostitui­scono alla futile superficie del tempo pseudo-ciclico contemplato, il grande stile dell’epoca è sempre in ciò che è orientato dalla necessità evidente e segreta della rivoluzione.


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La base naturale del tempo, il dato sensibile dello scorrere del tempo, diviene umano e sociale esistendo per l’uomo. È lo stato limitato della pratica umana, il lavoro a stadi diversi, che ha fino a oggi umanizzato, e quindi disumanizzato, il tempo, come tempo ciclico e tempo separato irreversibile della produzione economica. Il progetto rivoluzionario di una società senza classi, di una vita storica generalizzata, è il progetto di un deperimento della misura sociale del tempo, a favore di un modello ludico di tempo irreversibile degli individui e dei gruppi, modello del quale sono simultaneamente presenti dei tempi indipendenti federati. È il programma di una realizzazione totale, sul terreno del tempo, del comunismo che sopprime «tutto ciò che esiste indipendentemente dagli individui».


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Il mondo possiede già il sogno di un tempo di cui deve ora possedere la coscienza per viverlo realmente.

*cap. 6 de La società dello spettacolo di Guy Debord. Il testo completo lo si trova su http://www.marxists.org/italiano/sezione/filosofia/debord/societa-spettacolo.htm#6

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