lunedì 19 ottobre 2009

Lettera d'amore

Breslavia, dicembre 1917

Sonicka, passerotto mio,
È il mio terzo Natale in gattabuia, ma non fatene una tragedia.
Sono calma e serena come sempre. Ieri sono rimasta a lungo sveglia - adesso non riesco ad addormentarmi prima dell'una, però devo essere a letto già alle dieci -, così, al buio, i miei pensieri vagano come in sogno.
Ieri dunque pensavo: quanto è strano che, senza alcun motivo particolare, io viva sempre in un'ebbrezza gioiosa. Me ne sto qui, ad esempio, in questa cella oscura, sopra un materasso duro come la pietra, intorno a me nell'edificio regna come di regola un silenzio di tomba, sembra di essere rinchiusi in un sepolcro: attraverso la finestra si disegna sul soffitto il riflesso della lanterna accesa l'intera notte davanti al carcere. Di tanto in tanto si sente, cupo, lo sferragliare di un treno che passa in lontananza; oppure, più vicina, proprio sotto la finestra, la guardia che si schiarisce la voce e per sgranchirsi le gambe fa lentamente qualche passo con i suoi stivaloni. La sabbia stride in modo così disperato, sotto quei passi, che nella notte scura e umida si sente risuonare tutta la desolazione e lo sconforto dell'esistenza.
Me ne sto qui distesa, sola, in silenzio, avvolta in queste molteplici e nere lenzuola dell'oscurità, della noia, della prigionia invernale – e intanto il mio cuore pulsa di una gioia interiore incomprensibile e sconosciuta, come se andassi camminando nel sole radioso su un prato fiorito.
E nel buio sorrido alla vita, quasi fossi a conoscenza di un qualche segreto incanto in grado di sbugiardare ogni cosa triste e malvagia e volgerla in splendore e felicità.
E cerco allora il motivo di tanta gioia, ma non ne trovo alcuno e non posso che sorridere di me. Credo che il segreto altro non sia che la vita stessa; la profonda oscurità della notte è bella e soffice come il velluto, a saperci guardare.
E anche nello stridere della sabbia umida sotto i passi lenti e pesanti della guardia risuona un canto di vita piccolo e bello, se solo ci si presta orecchio.
In quei momenti penso a voi, a quanto mi piacerebbe potervi dare la chiave di questo incanto, perché vediate sempre e in ogni situazione quel che nella vita è bello e gioioso, perché anche voi possiate sentire questa ebbrezza e camminare su un prato dai mille colori.
Non intendo in alcun modo saziarvi d'ascetismo, di gioie immaginarie. Vi concedo, anzi, ogni reale piacere dei sensi.
Vorrei soltanto donarvi, in aggiunta, la mia inesauribile letizia interiore, così da poter essere serena riguardo a voi, pensando che attraversate l'esistenza avvolte in un mantello trapunto di stelle, in grado di proteggervi da quanto è meschina, dozzinale e angosciante.
Ahimé, Sonicka, qui ho provato un dolore molto intenso. Nel cortile dove vado a passeggiare arrivano di frequente carri dell'esercito, zeppi di sacchi o vecchie giubbe e casacche militari, spesso con macchie di sangue. Vengono scaricate, distribuite nelle celle per i rattoppi e quindi di nuovo caricate e rispedite all'esercito.
Qualche tempo fa è arrivato un carro tirato da bufali anziché da cavalli. Per la prima volta ho visto questi animali da vicino. Di struttura sono più robusti e più grandi rispetto ai nostri buoi, hanno teste piatte e corna ricurve verso il basso, il cranio è più simile a quello delle nostre pecore, completamente nero e con grandi occhi mansueti. Vengono dalla Romania, sono trofei di guerra...
I soldati che conducono il carro raccontano quanto sia stato difficile catturare questi animali bradi, e ancor più difficile farne bestie da soma, abituati com'erano alla libertà. Furono presi a bastonate in modo spaventoso, finché non valse anche per loro il detto <>...
Soltanto a Breslavia, di questi animali, dovrebbe esservene un centinaio; avvezzi ai grassi pascoli della Romania, ora ricevono cibo misero e scarso. Vengono sfruttati senza pietà, per trainare tutti i carichi possibili, e assai presto si sfiancano.
Qualche giorno fa arrivò dunque un carro pieno di sacchi, accatastati a una tale altezza che i bufali non riuscivano a varcare la soglia della porta carraia. Il soldato che li accompagnava, un tipo brutale, prese allora a batterli con il grosso manico della frusta in modo così violento che la guardiana, indignata, lo investì chiedendogli se non avesse un po' di compassione per gli animali.
<> rispose quello con un sorriso maligno, e batté ancora più forte... Gli animali infine si mossero e superarono l'ostacolo, ma uno di loro sanguinava...
Sonicka, la pelle del bufalo è famosa per essere assai dura e resistente, ma quella era lacerata. Durante le operazioni di scarico gli animali se ne stavano esausti, completamente in silenzio, e uno, quello che sanguinava, guardava davanti a sé e aveva nel viso nero, negli occhi scuri e mansueti, un'espressione simile a quella di un bambino che abbia pianto a lungo. Era davvero l'espressione di un bambino che è stato punito duramente e non sa per cosa né perché, non sa come sottrarsi al tormento e alla violenza bruta... gli stavo davanti e l'animale mi guardava, mi scesero le lacrime - erano le sue lacrime; per il fratello più amato non si potrebbe fremere più dolorosamente di quanto non fremessi io, inerme davanti a quella silenziosa sofferenza.
Quanto erano lontani, quanto irraggiungibili e perduti i verdi pascoli, liberi e rigogliosi, della Romania! Quanto erano diversi, laggiù, lo splendore del sole, il soffio del vento, quanto era diverso il canto armonioso degli uccelli o il melodico richiamo dei pastori! E qui... questa città ignota e abominevole, la stalla cupa, il fieno nauseabondo e muffito, frammisto di paglia putrida, gli uomini estranei e terribili e... le percosse, il sangue che scorre giù dalla ferita aperta.
Oh mio povero bufalo, mio povero, amato fratello, ce ne stiamo qui entrambi così impotenti e torpidi e siamo tutt'uno nel dolore, nella debolezza, nella nostalgia. Intanto i carcerati correvano operosi qua e là intorno al carro, scaricavano i pesanti sacchi e li trascinavano dentro l'edificio; il soldato invece ficcò le mani nelle tasche dei pantaloni, se ne andò in giro per il cortile ad ampie falcate, sorrise e fischiettò tra sé una canzonaccia.
E tutta questa grandiosa guerra mi passò davanti agli occhi... Scrivetemi presto.
Vi abbraccio, Sonica
La vostra R.
Sonjusa, carissima, siate nonostante tutto calma e lieta. Così è la vita, e così bisogna prenderla, con coraggio, impavidi e sorridenti - nonostante tutto.
Buon Natale!

Rosa Luxemburg
(citata in Figure della nostra storia, CIPEC, quaderno n. 41)
www.cipec-cuneo.org

venerdì 16 ottobre 2009

Cap Levat in Svizzera!

Video registrati il 10 ottobre, durante la trasferta a Sissach di CAP LEVAT.

www.caplevat.it
www.myspace.com/caplevat
info@caplevat.it



mercoledì 14 ottobre 2009

"Terzo articolo definitivo per la pace perpetua.
'Il diritto cosmopolitico deve limitarsi alle condizioni di un'ospitalità universale'.

Qui, come nell'articolo precedente, non si parla di filantropia, ma di diritto, ed in questo senso 'ospitalità' significa il diritto di uno straniero di non essere trattato come nemico al suo arrivo nel territorio d'un altro paese. QUest'ultimo può rifiutarlo, quando ciò non comprometta la sua esistenza; ma finché rimane pacificamente al suo posto, non può trattarlo ostilmente. Ciò cui può pretendere non è un diritto di ospitalità, ma un diritto di visita, che autorizza ogni uomo ad offrirsi come componente della società, in virtù del diritto al comune possesso della superficie della terra. Dato che tale superficie è sferica, gli uomini non si possono su di essa disperdere all'infinito, ma devono infine rassegnarsi a vivere gli uni accanto agli altri, ma originariamente nessuno ha più diritto di un altro di occupare una determinata porzione di terra.
(...)
Se ora si paragona la condotta inospitale degli Stati civilizzati, e specialmente degli Stati commercianti del nostro continente, l'ingiustizia da essi dimostrata della loro condotta nella visita (che per loro è sinonimo di conquista) di paesi e popoli stranieri, non può non fare inorridire. L'America, i paesi dei popoli neri, il Capo di Buona Speranza eccetera, per gli scopritori erano terra di nessuno (territori che non ppartenevano a nessuno); essi infatti non tenevano alcun conto degli indigeni. Nelle Indie orientali, col pretesto di stabilire semplici scali commerciali, essi introdussero truppe straniere, e con esse oppressero gli indigeni, suscitarono estese guerre tra i diversi Stati; vi provocarono carestie, rivolte, tradimenti e tutta la litania dei mali che possono affliggere l'umanità.
(...)
La cosa peggiore (o migliore, se si giudica dal punto di vista morale) è che essi non godono mai di tutte queste violenze, che tutte queste società commerciali sono sull'orlo della rovina, che le isole dello zucchero, sede della schiavitù più crudele e più raffinata, non forniscono un reale guadagno, e sono utili solo indirettamente, e per un fine non molto lodevole, cioè per la formazione di marinai per la marina militare, quindi ancora per condurre guerre in Europa; e questo per potenze che fanno gran mostra di devozione, e che, mentre commettono ingiustizie come si beve un bicchiere d'acqua, vogliono farsi passare per campioni di rispetto del diritto.

Dato che l'interdipendenza (più o meno stretta) tra i popoli della terra si è estesa a tal punto, che la violazione del diritto in un punto della terra è avvertita dovunque, l'idea d'un diritto cosmopolitico non è affatto una rappresentazione fantastica ed esagerata del diritto, ma un necessario completamento del codice non scritto, che al di là del diritto statale e internazionale tende verso un diritto pubblico dell'umanità, e pertanto alla pace perpetua, alla quale ci si può lusingare di avvicinarsi continuamente solo a questa condizione."

Immanuel Kant, Per la pace perpetua, traduzione e cura di Alberto Bosi, ed. Cultura della Pace, San Domenico di Fiesole, 1995, pp.136-38

martedì 6 ottobre 2009

Ernesto Guevara

Ernesto Che Guevara, un comunista
Antonio Moscato
tratto da Il Manifesto 05/10/2009

Non è sorprendente che i fascisti di Casa Pound cerchino di appropriarsi del «mito del Che». Il 9 ottobre “celebreranno” la morte di Guevara presentando un libro di Mario La Ferla, L’altro Che. Ernesto Guevara, mito e simbolo della destra militante, Stampa Alternativa, Roma, 2009 con la partecipazione di vari oratori anche “di sinistra”, ma non dell’autore (la casa editrice, pare, non voglia).
Presentarsi a volte come rivoluzionaria, è una vecchia tecnica della destra, dal fascismo “diciannovista” di Mussolini in poi. Per giunta in questo caso non fanno nessuna fatica a utilizzare il libro di Mario La Ferla, che parla del Che per poche pagine (con sviste e sfondoni vari), e per il resto è una rifrittura di luoghi comuni su Catilina, D’Annunzio, Pavolini, Bombacci, Perón, il «nazional-bolscevico» Limonov, ecc. Tra i suoi “autori” c’è perfino quell’Andrea Insabato, che mise una bomba al manifesto.
La Ferla è stato spinto a occuparsi di Guevara da un articolo di Gabriele Adinolfi, presentato nel libro in termini apologetici. Si capisce perché: l’autore ha semplicemente scaricato la presentazione del terrorista nero fondatore di Terza posizione dal suo sito. Il libro rivela poche e superficiali letture, segnalate alla rinfusa, tra cui spicca Alvarito Vargas Llosa. A Casa Pound non si sono sbagliati quindi a invitare La Ferla. Glielo lasceremmo proprio volentieri. Ma Guevara no.
La Ferla tenta di accreditare un Che di destra perché “influenzato da Perón”, di cui evidentemente non sa nulla, e che considera tout court fascista. Un contatto diretto tra i due vi fu, non durante il viaggio del 1959 nei paesi ex coloniali, come scrive, ma nel 1964, e aveva ben altro senso. Era stato preparato da molti peronisti di sinistra che si addestravano a Cuba (e che formeranno successivamente i montoneros). La direzione cubana aveva offerto allora senza successo a Perón, ancora appoggiato da gran parte della classe operaia argentina, di trasferirsi a Cuba per preparare un ritorno di lotta. L’ambiguità di Perón si doveva chiarire –con la tragica svolta a destra -solo dopo il suo ritorno in patria. Su questo esiste l’intero Quaderno n.3 della fondazione Guevara, con preziose testimonianze di argentini.
Era comunque inverosimile che Perón abbia presentato il Che a Boumedienne: il rapporto di Guevara con l’Algeria era strettissimo, ma con Ben Bella, con cui c’era una sintonia profonda. Il colpo di Stato di Boumedienne parve e fu una catastrofe per l’impresa congolese in preparazione.
Ma lasciamo da parte le polemiche con questo libro raffazzonato, e funzionale all’operazione di Casa Pound.
La vera incompatibilità tra i fascisti di qualunque genere e il Che nasce da alcune caratteristiche essenziali del pensiero e dell’azione di Guevara. Prima di tutto dal suo internazionalismo, al tempo stesso etico (sentire sulla propria guancia lo schiaffo dato in qualsiasi parte del mondo) e materialista (stabilire intese con altri paesi produttori di zucchero, per evitare di farsi la concorrenza).
Altrettanto lontano dal fascismo, anzi anti-fascista, il suo “dobbiamo saper essere duri senza perdere la tenerezza”, che difendeva come inevitabili le misure di autodifesa di una rivoluzione uscita da una lotta feroce, ma vigilava contro i pericoli di involuzione autoritaria. Esemplare un discorso severissimo del ’62 ai membri della Seguridad contro la tendenza a inventarsi nemici.
Un’altra caratteristica del Che, che lo rendeva diversissimo non solo dai politici borghesi (democratici o fascisti) ma anche da quelli del “socialismo reale”, era l’assenza di ogni indulgenza per i propri errori, in cui ricercava la prima causa di ogni male.
Ma basterebbe l’internazionalismo del Che a ridicolizzare ogni pretesa di annetterlo al fascismo. Un internazionalismo che presto rifiuta ogni “campismo”, e cerca legami diretti con i movimenti di liberazione, non con gli Stati, e anzi ne vuole controbilanciarne l’influenza. Basterebbe aver letto il Messaggio alla Tricontinentale e il Discorso di Algeri, con le sue critiche severe ai “paesi socialisti”, per capirlo. Va detto con tristezza che gran parte della sinistra, anche quando rende omaggio al Che, ne ignora questa dimensione. E a chi cerca di annetterselo come “fascista di sinistra”, raccomandiamo la lettura di un testo emozionate, e attualissimo, del Che Guevara Lettera ai giovani comunisti.
È vero che c’era anche chi cantava “il Che Guevara ci piace si, perché invece di parlare spara”; se il Che fosse stato solo questo, ogni annessione sarebbe possibile. Ma Guevara non si limitava a sparare, parlava, anche se inascoltato (anche a Cuba), per la sua preziosa e lungimirante riflessione sulla crisi imminente di quello che si sarebbe arrogantemente proclamato il “socialismo reale”: una critica da un punto di vista marxista.
Difficile in questo spazio ricostruire la complessità del pensiero del Che - (una trattazione ben più ampia può essere scaricata dal sito:http://antoniomoscato.altervista.org/ , che contiene anche alcuni testi inediti, che dimostrano che Guevara non era un generico ribelle. Anche se non è stato un grande pensatore paragonabile a Lenin, Rosa Luxemburg o Trockij, è stato un grande riscopritore del marxismo critico, “senza calco né copia”. E non era un
compito facile, dopo decenni di mistificazioni socialdemocratiche e staliniste. E, concludendo, c’è da dire che più semplicemente è stato un comunista.

domenica 4 ottobre 2009

«Lo scudo fiscale distrugge la credibilità dello Stato»


Tito Boeri, economista della Bocconi, risponde alla richiesta del “Fatto” al capo dello Stato di non firmare.

Questa è una legge incivile, ma credo che Napolitano abbia già fatto quello che poteva evitando gli venisse presentata in una forma anche peggiore di quella attuale», dice al “Fatto” il professor Tito Boeri, economista della Bocconi e animatore del sito lavoce.info.

C’era bisogno di fare uno scudo fiscale per portare in Italia i capitali degli evasori?

Con lo scudo un po’ di capitali rientreranno ma molti ne usciranno. Perché chi ha portato i soldi fuori e non ha pagato le tasse viene premiato e quindi continuerà a farlo. Approvare un condono significa preparare il terreno per i successivi, perché si riducono gli incentivi dei contribuenti ad avere un corretto rapporto con il fisco. E questo è ancora più grave perché in campagna elettorale Tremonti aveva promesso in televisione, davanti agli italiani, che non ci sarebbero più stati condoni dopo quelli varati nei precedenti governi Berlusconi.

Quindi chi ci guadagna sono solo gli evasori che, pagando il cinque per cento della somma da rimpatriare possono mettersi in regola con il fisco?

Sì, è un regalo. Lo scudo, per come è stato strutturato, si configura come una vera e propria amnistia per molti reati societari. Anche in questo è diverso dalle misure che sono state adottate in altri Paesi, come gli Stati Uniti e Gran Bretagna, dove il rimpatrio dei capitali sottratti al fisco è fino a dieci volte più costoso che in Italia ed è accompagnato da operazioni di trasparenza che costringono gli evasori a rivelare la propria identità e come hanno nascosto i capitali. Una “disclosure” che serve a impedire che in futuro le stesse persone (e altre) commettano gli stessi reati. Da noi c’è l’amnistia, l’anonimato e ce la si cava pagando il 5 per cento. Un vero incoraggiamento a delinquere.

Ammettiamo che Tremonti abbia ragione e che all’erario servano con urgenza soldi freschi. C’erano altri modi per trovarli?
C’è sempre la possibilità di riallocare la spesa pubblica senza fare regali agli evasori. L’Europa in questo momento non ci assilla per recuperare 5 miliardi (questo sarebbe, nella migliore delle ipotesi, il gettito dello scudo) per non sforare i vincoli. L’Unione e i mercati ci chiedono di rendere il nostro debito pubblico sostenibile. Ciò che li preoccupa da questo punto di vista è l’abbassamento della guardia dal lato delle entrate compiuto da questo governo, con lo smantellamento di molti controlli. Gli annunci estivi della guardia di finanza e i procedimenti contro nomi noti sono stati mera propaganda. La verità è che ci sono state direttive ministeriali per ridurre i controlli fiscali e quelli sui contributi sociali. Non è credibile che si debbano aspettare le entrare dello scudo per ridurre le tasse sul lavoro.

Perché non si sono utilizzati per questo i 12 miliardi risparmiati con l’abbassamento dei tassi di interesse sui titoli pubblici?

Non è certo facendo regali agli evasori - e alle banche che riceveranno questi capitali - che si esce dalla recessione.

Il Partito democratico ha annunciato battaglia ma, finora, è stato poco incisivo. Su cosa dovrebbe battere per incidere sull’opinione pubblica?

Sì, dall’opposizione si sono levate rare voci critiche contro la politica economica inesistente di questo governo. Dovrebbe invece chiedere al governo di fare proprio in questo momento le riforme di cui il Paese ha bisogno per uscire dalla crisi, a partire dagli ammortizzatori sociali. E di tagliare le rendite, cominciando dalle concessioni televisive per arrivare ai contributi ai giornali di partito, cui sono andati gran parte dei ricavi della Robin tax, la tassa il cui ricavato doveva aiutare i più poveri. Il governo ha poi varato interventi selettivi a favore di gruppi di pressione, come la Fiat, che ha ottenuto i suoi incentivi targati Multipla bipower. E ora ne chiede di nuovi.

Tremonti le risponderebbe che c’è la crisi e non si poteva fare una politica economica più ambiziosa senza causare dissesti irreparabili nella finanza pubblica.

Questo non è corretto. L’Italia aveva la possibilità di fare manovre anticicliche e in disavanzo. Ma non le ha fatte. E il risultato è che il nostro paese sta facendo peggio degli altri pur non avendo vissuto crisi bancarie e bolle immobiliari. Misure come lo scudo fiscale peggiorano i conti pubblici perchè riducono in modo permanente la credibilità del fisco e della sua capacità di raccolta.. Come dimostrano i risultati di misure analoghe varate in passato da Berlusconi. I condoni rendono quindi il problema del debito pubblico strutturalmente più grave, perché viene percepito come più rischioso.

Sul “Fatto” Bruno Tinti ha spiegato perché il presidente della Repubblica non dovrebbe firmare lo scudo fiscale, perché questo spinge “il nostro Paese ancora più in fondo nel precipizio di immoralità che ci sta separando dai Paesi civili”. Che ne pensa?


Non sono un giurista e quindi non me la sento di giudicare se ci siano i margini per un intervento di questo tipo. Certo lo scudo contiene un’amnistia e viene introdotto come emendamento di un decreto. E questi sono fatti gravissimi. La mia impressione però è che Napolitano abbia già fatto molto. Credo sia grazie al suo intervento che è stata evitata la possibilità di usare lo scudo per i procedimenti penali in corso, come prevedeva la versione originale dell’emendamento Fleres che lo ha esteso al falso in bilancio. Ma anche così questa resta una legge incivile che dimostra come il vero problema politico che emerge da questa situazione sia l’approccio del governo alla crisi.


Intervista di Stefano Feltri (da Il Fatto Quotidiano n°5 del 27 settembre 2009)