martedì 17 novembre 2009

A day as a postman

La gente diceva sempre le stesse cose, in qualunque posto andassi a distribuire la posta sentivo sempre le stesse cose, in continuazione.
"E' in ritardo, oggi!".
"Dov'è il postino solito?".
"Salve, zio Sam!".
"Postino! Postino! Questa non è per me!".
Le strade erano piene di gente stupida e malata di testa. Avevano quasi tutti una bella casa e pareva che non lavorassero, e veniva da chiedersi come facessero. C'era un tizio che non voleva che gli mettessi la posta nella cassetta. Si metteva in mezzo al viale e mi guardava arrivare da 2 o 3 isolati di distanza e stava lì con la mano alzata.
Chiesi agli altri che avevano avuto quel percorso:
"Che cos'ha qual tizio che sta sempre in mezzo al viale con la mano alzata?".
"Quale tizio che sta in mezzo al viale con la mano alzata?", mi chiesero.
Anche loro dicevano sempre le stesse cose.
Un giorno che mi avevano assegnato quel percorso vidi l'uomo-con-la-mano-alzata a un isolato di distanza. Stava parlando con un vicino. si guardò alle spalle, vide che ero a più di un isolato di distanza e capì di aver tempo di tornare indietro prima del mio arrivo. Quando mi voltò la schiena incominciai a correre. Credo di non aver mai lavorato tanto in fretta, tutto gambe e braccia, senza mai fermarmi, l'avrei fregato. La lettera era già a metà dentro la fessura della sua cassetta quando si voltò e mi vide.
"OH NO NO NO!", gridò, "NON ME LA METTA NELLA CASSETTA!".
Arrivò di corsa verso di me. Vidi solo la polvere che sollevava. Stava facendo i cento metri in 9 secondi e 2.
Gli misi in mano la lettera. Lo guardai. La aprì, attraversò la veranda, aprì la porta ed entrò in casa. Aspetto ancora che qualcuno mi dica che cosa significa tutto questo.
(...)
Ero di nuovo stravolto dall'alcool, c'era un'altra ondata di caldo... 40 gradi, da una settimana. Passavo le serate a bere, sempre, e la mattina presto c'era Stone e quelle giornate impossibili.
I ragazzi portavano caschi coloniali e occhialoni, ma io no, per me era sempre lo stesso, col sole e colla pioggia. vestiti stracciati, e scarpe così vecchie che i chiodi mi si piantavano nei piedi. Mi mettevo il cartone nelle scarpe. Ma era un sollievo temporaneo... dopo un po' i chiodi ricominciavano a scavarmi i calcagni.
Perdevo birra e whiskey, a fontanella, dalle ascelle, e andavo in giro con quella croce sulle spalle, tiravo fuori riviste, consegnavo migliaia di lettere, barcollando, col sole che picchiava.
Una donna mi gridò dietro: "POSTINO! POSTINO! QUESTA NON E' PER ME!"
Guardai. Era un isolato più in giù, in discesa, e io ero già in ritardo.
"Senta, signora, metta la lettera fuori dalla cassetta! La ritireremo domani!".
"NO! NO! LA PRENDA ADESSO!".
Sventolava quella lettera nel cielo.
"Signora!".
"VENGA A PRENDERLA! NON E' PER ME!".
Oh Dio mio.
Misi giù la sacca. Poi presi il berretto e lo buttai sul prato. Rotolò sulla strada. Lo lasciai lì e mi incamminai verso la donna. Mezzo isolato.
La raggiunsi e le strappai di mano la lettera, mi voltai, tornai indietro.
Era un volantino pubblicitario! Posta di quarta categoria. L'avviso di una svendita di articoli di abbigliamento a metà prezzo.
Raccolsi il berretto dalla strada, me lo misi in testa. Issai la sacca sulle spalle, alla sinisdtra della spina dorsale, ripresi a camminare. 40 gradi.
Passai davanti a una casa e una donna mi corse dietro.
"Postino! Postino! Non c'è niente per me?"
"Signora, se non le ho messo niente nella cassetta, vuol dire che per lei non c'è niente".
"Ma deve esserci una lettera per me!".
"Che cosa glielo fa pensare?".
"Mia sorella mia ha telefonato e mi ha detto che mi avrebbe scritto.".
"Signora, non ho niente per lei".
"Ma deve esserci una lettera! Ne sono sicura! Sono sicura che è là in mezzo!".
Tese la mano verso un mazzetto di lettere.
"NON TOCCHI LA POSTA DEGLI STATI UNITI, SIGNORA! NON C'E' NIENTE PER LEI OGGI!".
Mi voltai e me ne andai.
"SONO SICURA CHE C'E' LA MIA LETTERA LI' DENTRO!"
C'era un'altra donna sulla veranda di una casa.
"E' in ritardo, oggi".
"Sì, signora".
"Dov'è il postino solito?".
"Ha il cancro. Sta morendo".
"Sta morendo? Di cancro? Harold sta morendo di cancro?".
"Proprio così", dissi.
Le diedi la posta.
"BOLLETTE! BOLLETTE! BOLLETTE!", urlò. "POSSIBILE CHE NON MI PORTIATE MAI ALTRO CHE BOLLETTE?".
"Sì, signora, solo bollette".
Mi voltai e ripresi a camminare.
Non era colpa mia se usavano il telefono e il gas e la luce e comperavano tutto a credito. Eppure quendo gli portavano le bollette se la prendevano con me... come se gliel'avessi ordinato io, di farsi mettere il telefono, o di comprare la TV da 350 dollari a rate.
La fermata dopo era una casa a due piani, abbastanza nuova, con dieci o dodici appartamenti. La cassetta era sul davanti, sotto il tetto della veranda. Finalmente un po' d'ombra. Misi la chiave nella serratura della cassetta e aprii.
"SALVE ZIO SAM! COME ANDIAMO OGGI?".
Urlava, quasi. Non me l'aspettavo, quella voce di uomo alle spalle. Urlava, e io ero nervoso, dopo la bevuta della sera prima. Feci un salto. Era troppo. Tolsi la chiave dalla cassetta e mi girai. C'era solo una porta schermata davanti a me. Là dentro c'era qualcuno. Invisibile, a godersi l'aria condizionata.
"Porco mondo!", gridai, "Non chiamarmi zio Sam! Non sono lo zio Sam!".
"Oh, sei un furbacchione, eh? Per due cent vengo fuori e ti faccio il culo!".
Presi la borsa e la sbattei per terra. Le lettere e le riviste volarono dappertutto. Avrei dovuto smistarle di nuovo, dopo. Presi il berretto e lo sbattei sul cemento.
"VIENI FUORI? BRUTTO FIGLIO DI PUTTANA! OH, DIO ONNIPOTENTE, TI PREGO! VIENI FUORI! VIENI FUORI, AVANTI, VIENI FUORI!".
Volevo ammazzarlo.
Non venne fuori nessuno. Non si sentiva volare una mosca. Guardai la porta schermata. Niente. Come se l'appartamento fosse vuoto. Per un attimo pensai di entrare e vedere. Poi mi voltai, mi misi in ginocchio e comincia e smistare le lettere e le riviste. Era una parola, senza casellario. In venti minuti rimisi a posto tutto. Infilai un paio di lettere nella cassetta, lasciai cadere le riviste sulla veranda, chiusi la cassetta, diedi un'altra occhiata alla porta schermata. Non si sentiva volare una mosca.
Finii il giro, e camminando pensavo, adesso quello telefonerà a Jonstone e gli dirà che l'ho minacciato. Meglio prepararsi al peggio.

Charles Bukowski, Post Office, Cap. I, 15